Parità di genere nel consiglio degli architetti, 49 ordini fanno ricorso contro le norme che danno più spazio alle donne. Il Tar lo boccia
- Postato il 22 agosto 2025
- Diritti
- Di Il Fatto Quotidiano
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C’è voluto il Tar del Lazio per ribadire che le norme per la parità di genere stabilite dal Consiglio nazionale degli architetti sono legittime. E anzi rispettano l’art.51 della Costituzione. La sentenza è arrivata a luglio scorso, dopo che ben 49 ordini territoriali su 105 hanno impugnato il nuovo regolamento e fatto ricorso contro la decisione dell’ente di inserire dei limiti alle preferenze per i candidati dello stesso genere. Un intervento contestato da quasi la metà delle organizzazioni sul territorio, ma fatto per allineare la professione degli architetti agli standard costituzionali e a una società più inclusiva, in cui le donne – finora largamente sottorappresentate nei consigli territoriali – possano accedere alle cariche in condizioni di maggiore equità.
Tutto risale a novembre 2024, quando il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori (CNAPPC) ha approvato il nuovo regolamento elettorale che segna una svolta storica: introduce la possibilità di votare anche in modalità telematica e, soprattutto, le contestate norme a tutela della parità di genere. Proprio quella che sembrava una conquista condivisa è diventata subito terreno di scontro: l’Ordine di Roma (OAR), il più numeroso e influente in Italia ha guidato la protesta dei 49 ordini. L’accusa: il CNAPPC avrebbe oltrepassato i propri poteri, modificando regole fissate da un d.P.R. con un semplice regolamento interno, senza avere la competenza normativa per farlo.
“Non è mai stata una battaglia contro la parità di genere, che condividiamo. Il punto era capire se il CNAPPC potesse modificare la legge elettorale degli ordini con un regolamento. Per evitare ricorsi successivi e commissariamenti, abbiamo chiesto al TAR di pronunciarsi”, si è giustificato l’Ordine di Roma con ilfattoquotidiano.it. Nella sostanza, gli Ordini ricorrenti hanno contestato che la tutela di genere fosse stata introdotta con uno strumento improprio, e che il nuovo regolamento toccasse aspetti delicati come il sistema di voto in presenza, le modalità di candidatura e persino i modelli di scheda elettorale. E neppure la sentenza del Tar sembra aver scoraggiato la protesta dell’Ordine di Roma: “Non sappiamo ancora”, hanno aggiunto, “se faremo nuovamente ricorso rivolgendoci al Consiglio di Stato, questa sarà una scelta che spetterà al nuovo direttivo dopo le elezioni”.
Nella sentenza dei giudici amministrativi, depositata il 9 luglio 2025, con cui è stato respinto il ricorso, si ribadisce che l’articolo 51 della Costituzione, modificato nel 2003, ha valore immediatamente precettivo: la Repubblica deve garantire pari opportunità di accesso alle cariche elettive tra uomini e donne, e questo obbligo riguarda anche gli ordini professionali. Il CNAPPC, dunque, non solo poteva ma doveva introdurre misure correttive, colmando un vuoto del d.P.R. 169/2005 che non conteneva alcuna previsione in materia di parità. In assenza di un intervento del legislatore, era compito del Consiglio nazionale agire, anche con un regolamento, per rispettare il dettato costituzionale.
La sentenza richiama anche precedenti giurisprudenziali: i regolamenti elettorali di commercialisti e ingegneri erano già stati bocciati proprio per la mancanza di strumenti a favore della parità di genere.
Dietro le carte bollate, però, si è giocata una partita diversa. Fonti interne al sistema ordinistico parlano di una manovra politica. L’obiettivo reale dei ricorrenti sarebbe stato quello di rinviare le elezioni dei Consigli territoriali, così da farle coincidere con quelle del Consiglio nazionale previste nel 2026. “In questo modo i presidenti uscenti avrebbero guadagnato un anno di proroga e portato al voto nazionale un pacchetto di consensi già consolidato. La questione delle quote di genere è stata usata come cavallo di Troia” spiega una fonte anonima a ilfattoquotidiano.it.
Non a caso, diversi ordini avevano deliberato di non convocare le elezioni in attesa della sentenza, costringendo il CNAPPC a indire il voto d’ufficio. Nel frattempo, molti presidenti avevano già trovato accordi locali su liste e candidature – quasi sempre maschili – che sarebbero stati rimessi in discussione dall’obbligo di riequilibrio tra i generi.
Alla fine il TAR ha confermato la legittimità del regolamento. Le elezioni svolte con le nuove regole restano valide e gli Ordini dovranno adeguarsi a un principio che non ammette più deroghe: la parità di genere è un obbligo, non un’opzione. Il CNAPPC, contattato da ilfattoquotidiano.it, ha preferito non rilasciare dichiarazioni. Intanto, a breve si terrà il voto per il rinnovo dell’Ordine di Roma.
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