Per il governo le aree interne vanno verso un ‘declino irreversibile’: cosa si può fare per salvarle
- Postato il 6 luglio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Il testo della dichiarazione finale del recente vertice Nato prevede che gli alleati – tra cui l’Italia – si impegnino ad aumentare la spesa militare, entro il 2035, per finanziare i requisiti fondamentali della difesa e per soddisfare gli obiettivi di capacità della Nato. Il premier spagnolo, il socialista Pedro Sánchez, ritiene di poter ottemperare con il 2,1%, una percentuale ben più ridotta di quella richiesta, perché un maggiore impegno costringerebbe gli spagnoli “a oltrepassare le linee rosse”, aumentando drasticamente le tasse sulla classe media, e riducendo altrettanto drasticamente le dimensioni delle risorse per lo Stato sociale: il welfare.
Pochi giorni fa la Gazzetta del Mezzogiorno recava in prima pagina un titolo senza equivoci: La grande fuga – In due anni via dal Sud in 241mila, la Lombardia meta preferita dei pugliesi. Ciò a pochi giorni di distanza dallo scambio tra l’antropologo Vito Teti e il ministro Tommaso Foti sulla “irreversibilità dello spopolamento”, che riguarda soprattutto le Aree Interne d’Italia. Dall’articolo del quotidiano barese apprendiamo che circa tre pugliesi e tre lucani su 10 si trasferiscono in Lombardia. Numeri che consentono di cogliere l’impatto epocale e la consistenza dei flussi che stanno spopolando intere aree del Paese, soprattutto quelle più fragili.
Secondo Vito Teti, “anziché alimentare speranza e fiducia si insiste sulla difficoltà e sull’impossibilità di fare interventi che possono cambiare in maniera radicale le cose. Il problema non è solo di ordine strutturale, economico e demografico, ma è proprio di ordine antropologico-culturale e di creazione di una sorta di disaffezione ai luoghi da parte dei giovani che non trovano un buon motivo per restare”.
Con enfasi, Alfonso Scarano scrive sul Fatto Quotidiano: “C’è un passaggio, in un documento ministeriale pubblicato quasi in sordina all’inizio dell’estate, che dovrebbe far tremare le fondamenta della nostra Repubblica. È una frase contenuta a pagina 45 del nuovo Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne 2021-2027, approvato con grande ritardo e redatto tra le nebbie dei dipartimenti centrali. Si trova nell’Obiettivo 4: accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile“.
Nelle cosiddette “Aree Interne” sono censiti circa 4000 Comuni italiani, ubicati in luoghi distanti dai centri, dove sono disponibili servizi di sanità, istruzione e mobilità. Ci abitano circa 13 milioni di persone. Il dato sullo spopolamento conferma, alla fine del ciclo del Pnrr, che i divari interni nel Paese restano drammatici. E sono il frutto di decenni di esclusione dall’agenda politica, sin dai primi anni Duemila. Il Paese è lacerato da divari di cui parlano tutti i rapporti (Svimez, Istat, per citare i principali). Bisognerebbe, come sostiene l’antropologo calabrese, realizzare “esperienze positive, in controtendenza rispetto allo spopolamento”.
Per farlo, occorrono più risorse, da impiegare in modo mirato. Occorre applicare l’articolo 3 della Costituzione, che ci affida il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Lo ricorda Luigi De Magistris, nel suo nuovo libro, Poteri occulti, pubblicato da Fazi Editore. “Un popolo che rimuova gli ostacoli implica militanza e, quindi, l’antitesi dell’indifferenza”. E ancora, “l’attuazione della Costituzione è la nuova Resistenza”. Come risolvere il nodo annoso dei divari presenti nel Paese, come quello delle Aree Interne se – finite le risorse Pnrr – dovremo destinare un’ulteriore, consistente fetta del nostro Pil alle spese militari? Come revitalizzare le aree soggette all’emorragia demografica? Se fino a oggi era difficile dotare il Sud delle stesse risorse del resto del Paese, come sarà possibile in futuro? Le preoccupazioni di Sánchez sulla tenuta dello stato sociale in Spagna non avrebbero un senso soprattutto da noi, che ospitiamo un divario interni sotto osservazione da parte della Ue?
A proposito di divari interni, riporto alcune cifre salienti: nel suo recente rapporto, l’Istat segnala che la speranza di vita a Trento è pari a 84,7 anni, mentre in Campania è di 81,7, con una differenza di ben tre anni. Le differenze si trovano in molte voci di spesa: ad esempio, quella per il welfare, che riflette come uno specchio le discriminazioni territoriali, così distribuita:
Mezzogiorno: 78 euro
Isole: 144 euro
Centro: 165 euro
Nord-Ovest: 162 euro
Nord-Est: 207 euro
Per anni, si è provato a ricordare che la Questione meridionale è forse il nodo principale del nostro Paese, che la disaffezione e l’ignoranza del problema avrebbero impoverito e desertificato molte aree. Se i ragazzi abbandonano il Sud, vuol dire che mancano le prospettive per restare. Quando si è provato a esigere, per il Sud, almeno le stesse risorse destinate ad altre aree, le risposte sono state fantasiose. Qualcuno, persino da centrosinistra, durante il dibattito della Bicamerale sul federalismo fiscale, fece notare che “sarebbe stato un fallimento se per aprire asili nido a Reggio Calabria se ne dovessero chiudere a Reggio Emilia o a Torino” (come annota Marco Esposito in Zero al Sud, Rubbettino). Il finanziamento delle regioni più svantaggiate, per “rimuovere gli ostacoli”, come imposto dalla Costituzione, per sanare un ingiusto quanto evidente divario nella fruizione dei diritti da parte dei cittadini italiani, viene tradotto – con un espediente dialettico – in una ingiustizia.
E allora, come fare per ridurre il divario tra democrazia formale e democrazia sostanziale, al Sud come nelle Aree Interne, che non sono solo al Sud? Come ridurre finalmente il divario interno nella fruizione dei diritti sociali? Come evitare lo spopolamento? Un’idea: destinando quella consistente fetta di risorse aggiuntive di cui si parlava sopra – invece che alle spese militari – all’obiettivo di sciogliere questi nodi gordiani che affliggono il nostro Paese.
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