Piccoli stilisti crescono. Davide Dessì: “Il car design è privo di identità. Ritroviamo la bellezza”
- Postato il 18 agosto 2025
- Fatti A Motore
- Di Il Fatto Quotidiano
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Cagliaritano, 33 anni, formato allo IED di Torino, ha lavorato in Italdesign, per diversi studi e aziende di Torino e oggi si adopera come Chief Creative Car Designer seguendo progetti speciali e fuoriserie. È l’identikit di Davide Dessì, la giovane matita che ha disegnato la recentissima AM Rina, barchetta di carbonio “figlia” degli anni Sessanta. Da alcuni anni è pure docente presso la Scuola Politecnica di Design.
Parliamo di Rina, la tua “opera prima”. Quanto è importante per un designer questo progetto?
“Rina è stata decisiva per me: è stata la prima auto di cui ho seguito tutte le fasi progettuali, con piena libertà creativa e responsabilità su ogni scelta stilistica. Rina è arrivata nel momento giusto, quando ho sentito di avere qualcosa di autentico da esprimere: mi ha permesso di tradurre in forma la mia idea di bellezza, il mio modo di intendere l’auto come oggetto emozionale e immortale”
Quali sono i principi fondamentali del linguaggio stilistico di Rina?
“Lo stile di Rina affonda le radici nella tradizione del car design italiano, ma guarda in avanti. Ho ricercato la massima purezza delle linee, evitando eccessi, puntando su proporzioni bilanciate, superfici morbide e tensioni leggere e dinamiche. È un design che vuole emozionare senza gridare, che punta all’essenza e non all’orpello. La forza del suo stile sta nella contemporaneità, nel modo in cui rilegge stilemi classici attraverso uno sguardo nuovo, personale, sensibile”
Rina ha sorpreso pubblico e critica per la sua bellezza, quasi non fossero più abituati a vedere belle auto: come mai?
“Forse perché c’è un impoverimento generale della percezione del bello, e si tende a ‘tirar via’ col design, purché costi poco e soddisfi bisogni pratici. Le nuove generazioni vedono l’auto quasi un’estensione dello smartphone. Ciò ha portato a un car design più complicato e privo di identità, che raramente affascina. Si sono perse quelle note di purezza e semplicità che hanno reso memorabili alcune auto del passato. Ecco perché la bellezza oggi ‘sorprende’, perché è diventata rara, specie in un mondo che punta alla funzionalità immediata e alla standardizzazione”
E se il problema dello stile delle auto moderne fosse che c’è un’eccessiva volontà di stupire a tutti i costi?
“C’è forte propensione a catturare l’attenzione a ogni costo, spesso per rispondere a gusti di mercati molto diversi tra loro, come quelli asiatici. Questo porta a un design spesso sovraccarico, con forme esagerate, elementi decorativi e dettagli eccessivi. Molte auto moderne cercano di piacere a tutti, ma finiscono per non parlare davvero a nessuno in modo profondo. E così si perde la purezza dello stile, quel linguaggio sobrio e autentico che crea emozione e riconoscibilità. Un’auto non deve piacere a tutti: deve far innamorare chi sappia comprenderla e apprezzarla”
Questa è l’epoca dei restomod, e pure Rina si ispira alle auto anni Sessanta. I modelli del passato, pur meno avanzati, facevano emozionare di più?
“I modelli “classici” hanno una personalità molto forte, che spesso manca nelle auto moderne perché concepite per creare un legame emotivo profondo con chi le guarda e le guida. La ‘nostalgia’ da cui scaturiscono i restomod non è un semplice desiderio di rivivere quei tempi, ma un modo per cercare di ritrovare un senso e una passione da portare avanti con consapevolezza moderna”
Cosa manca al design delle auto moderne per diventare “memorabile” o “iconico” come quello delle vetture del passato?
“Manca il tempo e lo spazio per sviluppare una visione forte e personale. Oggi i designer lavorano freneticamente perché gli si chiedono risultati immediati, senza che essi possano lasciare che le idee maturino davvero. Questa pressione limita la creatività e porta a soluzioni ‘frettolose’. Un design iconico, invece, nasce dalla profondità, dall’osservazione del mondo reale e da un pensiero che ha avuto il tempo necessario per maturare. Non può essere il risultato di un processo industriale accelerato o di una ricerca visiva superficiale”
I designer italiani hanno ancora una marcia in più in termini di creatività?
“Sì, ce l’hanno, e gli viene riconosciuto in tutto il mondo. Questa marcia in più nasce dal contesto culturale italiano, fatto di storia, arte, proporzione, eleganza. È un patrimonio che abbiamo dentro, ma che rischiamo di disperdere se non lo coltiviamo. All’Università vedo un impoverimento costante nella preparazione culturale e artistica degli studenti, specialmente di quelli italiani: ciò indebolisce la qualità del design. Bisognerebbe insegnare con più passione la storia dell’arte, renderla viva e centrale. Perché senza radici profonde, la creatività rischia di diventare una ‘superficie fragile’, priva di sostanza”
A un giovane che volesse diventare car designer quale percorso consiglieresti di fare?
“Prima ancora di disegnare servono occhi allenati alla bellezza, alla proporzione, alla storia dell’arte appunto e a quella dell’automobile. Bisogna imparare a osservare, a capire il mondo, ad apprezzare i dettagli. Dopo le scuole superiori, consiglio di intraprendere un percorso universitario in una scuola di design con un corso specifico di Transportation Design, oppure, per chi ha già una laurea triennale, considerare un Master specialistico. È un percorso impegnativo, che richiede tempo, dedizione e una vera passione per l’automobile. Ovviamente serve anche una certa propensione al disegno, ma non basta il talento: serve metodo, capacità di ascolto, spirito critico e soprattutto voglia di migliorarsi continuamente”
Credi che il car design sia una questione di vocazione?
“Sì, non tanto nel senso romantico del “destino segnato”, ma come un richiamo profondo che ti porti dentro fin da piccolo. Quasi tutti i designer hanno un momento preciso, un oggetto, un’automobile che ha acceso in loro la scintilla. Per me, ad esempio, è stata l’Alfa Romeo Brera concept disegnata da Giugiaro. Il design, per come lo vivo io, è soprattutto un approccio mentale, una forma di pensiero, non un ‘recinto disciplinare’. Ecco perchè aprirsi ad altri ambiti, anche non automobilistici, rende il modo in cui si disegnano le auto più ricco, colto e consapevole”
Come si disegna un’auto dal foglio bianco?
“Prima ancora di essere disegnata, un’auto debba essere pensata. Serve una visione e soprattutto serenità, lucidità e apertura mentale. Le idee migliori arrivano quando si è in ‘equilibrio’, o quando succede qualcosa che ti smuove dentro. Il foglio bianco non si affronta mai solo con la testa: ci vuole anche pancia e cuore. A volte si passano giorni interi a produrre schizzi e disegni che però non comunicano nulla, non trovano la loro anima. E poi, magari nel momento meno atteso arriva quella scintilla improvvisa che ti permette di concepire qualcosa. Non bisogna avere fretta ed è necessario coltivare la consapevolezza che quell’idea arriverà senza la necessità di inseguirla a tutti i costi. Il buon design nasce quando meno te lo aspetti, e solo così può essere autentico e forte”.
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