“Pippo Baudo? Al nostro primo incontro lo vidi in mutande. Dall’ultimo messaggio ho capito che non stava bene”: il ricordo di Carlo Conti

  • Postato il 18 agosto 2025
  • Trending News
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 3 Visualizzazioni

C’è il professionista, il “regista in scena” che ha inventato la grammatica della televisione moderna. E poi c’è l’uomo, l’amico, quello degli “abbraccioni quasi paterni”. Nel giorno del cordoglio per la scomparsa di Pippo Baudo, il ricordo di Carlo Conti, affidato a una lunga e commossa intervista al Corriere della Sera, unisce questi due piani, restituendo il ritratto di un legame profondo, fatto di stima, affetto e gratitudine. “Chi lavora in tv, per forza di cose, ha un po’ di Pippo Baudo nel dna“, esordisce Conti. “Era il nostro faro, e per me lo è stato fin da ragazzetto, quando cominciavo a fare le serate in Toscana”.

Il loro primo incontro avvenne all’inizio degli anni ’90, quando Conti conduceva “Big!” per la tv dei ragazzi. “Andai a trovarlo in camerino, alla Dear. ‘Stai andando bene’, mi disse. Non era uno che faceva tanti complimenti, bastava una pacca sulla spalla”. Ma fu un altro gesto a sigillare l’inizio della loro amicizia: “Si doveva preparare per il suo programma: ‘Io mi vesto, eh’, avvertì. E me lo ritrovai in mutande, con quei suoi boxer, che si cambiava dandomi fin dall’inizio una confidenza che ti faceva sentire suo amico”. Un legame così forte che, anni dopo, arrivato a lavorare stabilmente in quegli studi, Conti chiese “proprio di aver quel camerino, da quanto era importante”.

Essere paragonato a lui, anche quando i critici usavano il termine “baudeggiare” in senso non del tutto positivo, per Conti è sempre stato un vanto. “Non può che essere così. Chi usava il termine in modo non positivo sbagliava perché è come dire a un calciatore che è simile a Maradona”. Secondo Conti, l’eredità più grande di Baudo è stata concettuale: “È stato il primo che ha trasformato il presentatore in conduttore: sono mestieri diversi, e lui era un regista in scena che dettava i tempi, stava al centro, osservava”. Un professionista meticoloso, “che vedeva tutto e controllava i dettagli”, rispettato e non temuto dalle maestranze “perché dava le indicazioni giuste”.

Questa genialità, spiega, ha raggiunto il suo apice a Sanremo. “Tutti noi al Festival citiamo Pippo perché lo facciamo come l’ha inventato lui: è stato lui a farlo diventare un evento, a inventare il Dopofestival, a creare anche le polemiche, volendo”. Per questo, anticipa, “l’anno prossimo un ricordo speciale al Festival sarà il minimo”. Il racconto si fa poi più intimo, velato di malinconia. L’ultimo incontro televisivo risale all’anno scorso, per lo speciale “Rischiatutto 70“. L’ultima telefonata a marzo. Poi, il silenzio: “Ho cominciato ad avere dei dubbi quando l’ho chiamato e gli ho mandato un messaggio a giugno per il suo compleanno. Non mi ha risposto, ho sentito la sua fedelissima assistente Dina, e ho capito che la salute non era delle migliori”.

Ma se ripensa a lui “a bruciapelo”, l’immagine che gli viene in mente non è quella del grande conduttore, ma dell’amico: “I suoi abbracci. Ti prendeva in questi abbraccioni quasi paterni, con un misto di affetto e forza, come ce l’hanno i buoni padri di famiglia”. Un ricordo privato che diventa il sigillo perfetto per una carriera vissuta, sempre, sotto gli occhi di tutti.

L'articolo “Pippo Baudo? Al nostro primo incontro lo vidi in mutande. Dall’ultimo messaggio ho capito che non stava bene”: il ricordo di Carlo Conti proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti