“Pornorama”: la lucida follia narrativa di Claudia Grande

  • Postato il 8 ottobre 2025
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L’ultima fatica letteraria di Claudia Grande, intitolata Pornorama (Il Saggiatore), non è un semplice true crime, ma un’ambiziosa e lucidissima miscela di noir metropolitano e teatro del grottesco che scatta una cruda fotografia a luci rosse della società contemporanea. L’autrice, già apprezzata per Bim Bum Bam Ketamina (2023), conferma la sua maestria nel plasmare un linguaggio versatile e liquido, perfetto per svelare l’ossessione del nostro tempo: la mercificazione del dolore e della morte.

Il romanzo si dipana in un intreccio labirintico tra Milano, Roma e Torino, focalizzandosi su una inquietante serie di decessi nel mondo del porno e degli influencer, frettolosamente archiviati come suicidi. Contro questa superficialità dilagante, si erge l’unica voce fuori dal coro: l’ispettore capo Vittoria De Feo. Figura acida e disillusa, ma animata da una rabbiosa determinazione, De Feo è decisa a scoperchiare la verità, indagando al di fuori degli schemi e confrontandosi con il lato più torbido e patetico del potere. Ad affiancare, o meglio a complicare, l’inchiesta ufficiale intervengono le ricerche parallele di Bet e Teo, una coppia di pseudo-giornalisti ventenni a caccia dello scoop della vita per rilanciare il loro blog.

Attorno al trio investigativo si muove un coro surreale di figure che, pur al limite del credibile, risultano tristemente attuali: avvocati luciferini, chirurghi che commerciano sex toy post-mortem, analisti forensi con velleità da youtuber e psichiatri che si travestono da avocado. Questo campionario umano, unito a un caos di oggetti che spazia dalle droghe sintetiche ai contratti di sottomissione, dalle mani mozzate alle crostate al limone, crea un’atmosfera disorientante e ricca di umorismo nero.

La giustapposizione di dettagli macabri (morti efferate) e assurdi (conigli domestici, psichiatri-avocado) è la cifra stilistica di Grande, che utilizza l’eccesso per generare una satira tagliente.

Pornorama va oltre la semplice indagine, trasformandosi in una lucida riflessione sulla società necrofila ossessionata dal successo. L’autrice suggerisce che la vera pornografia non risiede nel sesso, bensì nella spettacolarizzazione del dolore e della morte, un esplicito bene di consumo mercificato dal capitalismo e dai magazine di gossip. Il corpo, e la sua sofferenza, sono diventati l’ultimo prodotto in vendita.

Lo stile di Claudia Grande riecheggia la complessità di Thomas Pynchon per l’intreccio labirintico e l’osservazione socio-politica celata nel paradosso, e la brutalità pop di Chuck Palahniuk per la critica al consumismo e la fascinazione per il deviato. Attraverso una scrittura di lucida follia che alterna tecnicismi investigativi a flussi di coscienza carichi di sarcasmo, il romanzo costringe il lettore a interrogarsi sulla propria realtà, mostrata in modo così esasperato da costringerci a ridere per non piangere. La verità, in questo gioco di apparenze, non è oggettiva, ma una somma caotica di narrazioni, comprese quelle su cui si sceglie di tacere.

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Il Fatto Quotidiano

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