Potenza, l’inceneritore che bruciò solo soldi ora verso la demolizione

  • Postato il 5 maggio 2025
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Potenza, l’inceneritore che bruciò solo soldi ora verso la demolizione

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L’inceneritore di Vallone Calabrese (Potenza) nasce da un appalto “forzato”: la maledizione dell’impianto mai utilizzato che ora va verso la demolizione


POTENZA – Un appalto nato storto e proseguito anche peggio.
Ha avuto origine così la maledizione dell’inceneritore comunale di Vallone Calabrese, che nei prossimi mesi dovrà essere demolito dopo aver bruciato i circa 40 miliardi delle vecchie lire serviti per la sua realizzazione e poco altro.

La storia dell’ultimo simbolo della mala amministrazione lucana risale al 1988 quando il Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) stanziò l’equivalente di 9 milioni di euro attuali per il «progetto per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani dell’alto bacino del Basento».
All’epoca alla guida del Comune c’era ancora “il sindaco del terremoto”, Gaetano Fierro. E la gara a inviti se la aggiudicò un raggruppamento d’imprese capeggiato dalla milanese Forni e impianti industriali De Bartolomeis spa. Raggruppamento di cui facevano parte anche due note aziende potentine attive nel settore dei rifiuti: quella di Giovanni Basentini, e la Antonio e Raffaele Giuzio srl, di proprietà degli zii dell’attuale assessore alla mobilità Francesco Giuzio, nato proprio nel 1988.

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A sollevare una serie di rilievi sulla legittimità della gara furono i secondi classificati dell’associazione d’imprese capitanata da Tecnitalia e completata da Aerimpianti, Fiat Enginering e un altro noto costruttore potentino: Michele Tolla.
A fronte di una prima sentenza del Tar Basilicata che aveva annullato l’aggiudicazione, però, l’amministrazione comunale non si limitò a proporre ricorso in Consiglio di Stato.

Con la città invasa dai rifiuti a causa di un’ennesima, fatale crisi nella gestione della raccolta e dello smaltimento, infatti, in Comune decisero di reiterare l’aggiudicazione, in «urgenza» stante la «rilevanza strategica» dell’opera, al gruppo De Bartolomeis. Con l’aggiunta al progetto di una linea di preselezione dei rifiuti e un ulteriore finanziamento superiore agli attuali 3 milioni di euro, grazie a un’intesa con Regione Basilicata e ministero dell’Ambiente. Più altri 13 milioni di lavori per l’adeguamento dell’impianto alle ultime normative ambientali.

A questo punto i lavori proseguirono fino al 1994. Fino alla conferma dal Consiglio di Stato delle irregolarità denunciate da Tecnitalia. Poi, nel 1996, è arrivato il fallimento della Forni De Bartolomeis e i lavori si sono fermati. Infine, nel 1999, dal Comune hanno deciso di affidare l’ultimazione dell’impianto agli eredi di Tecnitalia e soci (Ansaldo Tecnitalia, Tolla Michele e Sogespar), con uno stanziamento aggiuntivo di 3 milioni e mezzo di euro, e poi altri 2 milioni e 600 mila euro all’anno, dal 2005, per la sua gestione provvisoria e il collaudo, mai avvenuto.
«Le ripetute interruzioni e ripartenze hanno generato discontinuità, un certo rallentamento oltre a evidente usura dell’impianto». Questa l’analisi, impietosa, dell’accaduto che tempo dopo alcuni dirigenti comunali avrebbero affidato a una nota per il Consiglio regionale.

Il resto è la storia di questi giorni, col dirigente dell’Ufficio ambiente del Comune, Maria Grazia Fontana, che autorizza la demolizione parziale dell’inceneritore per realizzarvi un impianto di «separazione» di rifiuti a servizio del capoluogo e dei comuni vicini. Quasi 12 anni dopo la presa d’atto da parte dell’amministrazione comunale guidata da Vito Santarsiero che per il collaudo definitivo sarebbe stata necessaria «una verifica “a caldo” nel medio e lungo periodo di tutte le componenti impiantistiche», preceduta da interventi «per il recupero dell’efficienza funzionale». Il tutto con «elevati oneri finanziari per una ripresa totale dell’intera attività di termodistruzione».

Rientrati in possesso dell’impianto, nel 2014, dal Comune comunicarono alla Regione di non avere più interesse all’autorizzazione richiesta nel 2006 per il funzionamento dell’inceneritore. Quindi decisero di utilizzare pesa, fosse e altre strutture già presenti nel sito per «lo svolgimento di attività di trasferenza e trattamento meccanico-biologico» dei rifiuti. Ma senza compromettere «un successivo utilizzo dell’intero sito quale impianto di termovalorizzazione, secondo le capacità attuali, in caso di programmazione dello stesso all’interno della strategia delineata dalla Regione».
Anche questa trasformazione in centro di separazione meccanica dei rifiuti, però, si è protratta ben oltre i «sei mesi» immaginati dai più ottimisti. Fino a quando si è resa necessaria la «rimozione e smaltimento di uno dei due forni» e «la demolizione dell’intera parete ovest della zona forno».

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