Quale conflitto di interessi? Vogliono solo mettere a tacere Scarpinato

  • Postato il 15 maggio 2025
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Tanto tuonò che in Prima Commissione al Senato iniziò il suo iter la proposta di legge per imbavagliare ufficialmente il Sen. Roberto Scarpinato e quanti altri costituiscano un intralcio alla infausta marcia revisionista della destra in Commissione Antimafia. L’abito con cui si cerca di vestire la vergognosa iniziativa è quello del confitto di interessi, tema effettivamente ben noto alla destra italiana: insuperati il conflitto di interessi tra fascisti e Costituzione repubblicana, il conflitto di interessi tra concentrazione mediatica e pratica politica, tra mafiosi-eroi ed eroi civili dell’antimafia, tra familiarità con ex terroristi neri e i famigliari delle vittime del terrorismo.

La proposta di Legge Iannone, Cantalamessa, Gasparri, Salvitti, Sisler, Rastrelli, Sallemi, Russo, Della Porta, Sigismondi, Melchiorre (è bene i nomi farli e ricordarseli), descrive un “civilissimo” meccanismo con il quale imporre l’obbligo di astenersi dal partecipare a certe attività dell’Antimafia e dal consultare gli atti relativi a chi, per la carica ricoperta e le attività svolte, anche non attualmente, si trovi in una situazione di conflitto di interessi, qualora ciò possa recare pregiudizio alla obiettività delle indagini.

Tradotto: visto che il Senatore Scarpinato è stato da magistrato uno dei protagonisti delle vicende oggetto dell’inchiesta della Commissione parlamentare antimafia sulla strage di Via D’Amelio ed è notoriamente portatore di una lettura di esse del tutto incompatibile con quella pregiudizialmente assunta dalla presidente Colosimo e che questa circostanza continua a rappresentare un fastidioso pregiudizio alla pregiudiziale, è bene che pregiudizio e Senatore siano messi a tacere, così che la pregiudiziale possa diventare giudizio ufficiale.

Non soltanto la norma non si preoccupa nemmeno di fare lo sforzo di chiarire cosa si debba intendere per “conflitto tra interessi” che possa arrecare “pregiudizio alla obiettività delle indagini”, spalancando con ciò le porte all’arbitrio della maggioranza che potrà volta, volta, interpretare all’abbisogna queste parole, ma soprattutto offende un principio fondamentale della democrazia ovvero che non si cambiano le regole del gioco a partita iniziata, soltanto perché si ha la forza di farlo. Sarebbe come se durante una partita di calcio la squadra in vantaggio potesse decidere che gli avversari da quel momento dovranno correre su una gamba sola.

Sarebbe un inaccettabile abuso di potere, il che, mi rendo conto, possa risultare di difficile comprensione per chi ha abolito il reato di abuso d’ufficio, ha riportato in Libia con volo di Stato un ricercato per gravissimi crimini contro l’umanità, non dice la verità sui giornalisti spiati del caso Paragon e non si costituisce parte civile nel processo per la strage di Cutro.

Il vizio di cambiare le regole del gioco a partita aperta per togliere di mezzo avversari e problemi la destra ce l’ha da tempo tra leggi ad personam, ma anche contra personam, come quando dovette inventarsi ben tre norme per impedire a Gian Carlo Caselli di concorrere al ruolo di Procuratore nazionale Antimafia. Norma successivamente dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale, che però non cessò di produrre i suoi effetti mefitici, come se li si fosse potuti scindere dal manico che li aveva prodotti: meraviglie della morale “conviviale”.

Se proprio il Parlamento volesse disciplinare il “conflitto di interessi” in capo ai componenti della Commissione antimafia, dovrebbe farlo con serenità per il futuro, per la prossima Legislatura. Così che ci sarebbe anche tempo per riflettere sul significato da dare alle parole “conflitto di interessi”, per decidere cioè se ci ricada di più un magistrato che per tutta la sua vita professionale abbia adoperato l’obbligatorietà dell’azione penale per cercare di assicurare alla giustizia dei criminali di ogni calibro o piuttosto chi per tutta la sua vita parlamentare abbia adoperato le proprie immunità costituzionali per difendere criminali mafiosi contro ogni evidenza.

Forse questo provvedimento non vedrà mai la luce, ma intanto a me pare evidente che la partita aperta da Colosimo in Commissione parlamentare antimafia sulla strage di Via D’Amelio sia finita due giorni fa per conclamata impraticabilità istituzionale del campo. Il seguito dell’audizione di Mori e De Donno è infatti terminato nel peggiore dei modi, con il “lancio di oggetti dalle tribune”: come è stato possibile obiettare che domande rispettosamente poste da alcuni parlamentari di opposizione sulle connessioni tra le stragi del ’92 e quelle del ’93 fossero delle “provocazioni”? Come possono campioni di investigazione che sanno bene quanto i fatti si comprendano con attenta analisi del contesto in cui essi si collocano, reagire stizziti a domande di carattere valutativo sulle relazioni in quegli anni (e successivamente) tra mafiosi, uomini politici e di apparati?

La presidente Colosimo ha avvallato queste condotte e questo la pone ai miei occhi nel più grave conflitto di interessi, quello tra la ricerca della verità ed il tifo da stadio. Campo squalificato.

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Il Fatto Quotidiano

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