Quattro declinazioni dell’amore: da ‘L’amore in teoria’ a ’30 giorni con il mio ex’

  • Postato il 5 maggio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Le vie del Signore sono infinite”, dice il proverbio. E se in tempi di Conclave il Signore si rappresenta con l’amor divino, proviamo a metterla così, anche le vie dell’amore, quello umano, sono infinite. Con questi film ne percorriamo quattro.

Una via è quella che rimetterà insieme una famiglia, seppur con non pochi problemi, dopo una separazione dura da accettare per tutti. 30 notti con il mio ex di Guido Chiesa è una commedia familiare meno convenzionale del previsto perché tratta di fragilità psicologica e reinserimento in un giocoso domino di piccole catastrofi nella vita di un separato per instabilità mentale della ex. Dura far crescere una figlia adolescente da solo mentre la madre è in una casa famiglia, ma il periodo di nuova vita di lei obbligherà padre e figlia a nuovi confronti e responsabilità.

Protagonisti Edoardo Leo e Micaela Ramazzotti. Lui agiatamente incasellato nel ruolo di padre pignolo e premuroso, lei in quelli della donna instabile. Ormai sono idealtipi che i due bravi attori si portano dietro da un po’, e forse sarebbe più creativo per artisti e pubblico se la grande macchina del cinema li accoppiasse più spesso a ruoli più lontani e originali.

A parte questa riflessione sistemica, la commedia funziona seppur d‘intrattenimento un po’ buonista, con i suoi punti salienti nei disastri casalinghi e nei picchi sentimental-familiari, dove l’oggetto del contendere è sempre la figlia, che necessariamente più matura della sua età ha il volto di una promettente Gloria Harvey. In un paio di settimane ha incassato 1,29 milioni di euro, con un terzo posto al botteghino settimanale, ma sicuramente di speranze diverse dal fenomeno Follemente, sempre con Leo e i suoi 17,5 milioni.

Anch’esso animato da una storia d’amore familiare, ma di produzione franco-belga e ambientata in Giappone, Ritrovarsi a Tokyo scoperchia uno scomodo cavillo del sistema giuridico nipponico secondo il quale il divorzio lascia tutti i diritti di affido esclusivamente al genitore più economicamente forte, o a quello giapponese in caso di un genitore straniero. Va così che Romain Duris si ritrova nei panni di un ex marito francese divenuto tassista ramingo per la capitale asiatica, all’utopica ricerca della figlioletta.

Se venti milioni di abitanti vi sembran pochi, al protagonista non basteranno per fermarsi. Perfettamente inserito nel tessuto sociale nipponico (seppur con un livello di estraniamento che ricorda a volte il protagonista di Perfect Days), rincontrerà la ragazzina casualmente, proprio facendole da autista. Grande anche la prova linguistica di Duris peraltro, il suo “stalking” accorato di padre schiacciato da un fenomeno sconosciuto quanto ingiusto somiglia più alla lotta contro un rapimento di stato che a un criterio di affido.

Il film di Guillaume Senez, con una narrazione lineare, equilibrata e senza sviolinate, mette in luce la lunga fuga d’amore di un padre per la figlia attraverso un cortocircuito doloroso del modernissimo Giappone.

E se una moglie e madre… No, non è chi pensate… E se un’instancabile donna multitasking vedesse sgretolarsi intorno la sua famiglia e soprattutto l’amore e il rispetto che dovrebbe legare tutti in casa? Nel danese La solitudine dei non amati, scritto e diretto da Lilja Ingolfsdottir, un amore nato travolgente come una favoletta urbana e imploso sotto il peso degli impegni familiari con i figli porta una donna innamorata e stressata a una solitudine che si allarga come un buco nero intorno e dentro la sua vita.

Incomunicabilità tra generazioni, ripetizione di piccoli schemi disfunzionali, incomprensione e rabbia spremute fuori dall’incastro tra sacrificio generoso ed egoismo condito di leggerezze compongono il mosaico di relazioni e difficoltà che il regista ci pone di fronte. Non soltanto il classico valzer di senso di colpa e manipolazioni ad hoc, ma un percorso al femminile verso l’accettazione della separazione e di una nuova solitudine sulla quale decidere di ricostruire illusioni o nuova vita. Helga Guren ottima protagonista nei suoi mezzi toni e vibrazioni recitative.

La prende con “filosofia” invece Luca Lucini, che nella sua nuova commedia sentimentale L’amore in teoria torna a raccontarci gli amori giovanili, il turbine di ambizioni e aspettative spazzato via dagli eventi ma di nuovo all’opera in modi imprevedibili. Così Nicolas Maupas impersona uno studente di filosofia impacciato che si fa zerbinare in tutti i modi dalla vecchia compagna delle elementari di cui è da sempre innamorato.

Lei ha viso e buona temperatura di spocchia, per la parte, di Caterina De Angelis, attrice di buon talento a prescindere dall’esser figlia di Margherita Buy. Maupas ha un bel cambio con il suo personaggio durante il film, lo aiuterà anche un clochard, saggio consigliere sentimentale d’eccezione con la faccia da schiaffi di sempre: Francesco Salvi. Felice e azzeccato ritorno per lui.

A complicare il percorso dell’eroe di Maupas sarà una scheggia indipendente, un’attraente attivista ambientale e femminista ben interpretata da Martina Gatti, già vista nell’opera prima Troppo Azzurro, nel Migliore dei mondi di Maccio Capatonda e nel Padre Pio di Abel Ferrara.

Dettaglio che Lucini inserisce in questo nuovo lavoro è la citazione di princìpi ambientalisti vicini a Ultima Generazione, il criticato movimento che pur con metodi estremi, un po’ come le ucraine Femen, cerca di smuovere l’attenzione globale sull’urgenza dei temi ambientali, rimasti fin troppo sottovalutati quando il vero grande e unico nemico di tutti è il trattamento che riserviamo al nostro pianeta e di conseguenza a noi stessi e alle generazioni che ci seguiranno.

#PEACE

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Il Fatto Quotidiano

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