Regionali Calabria, Noto: «Campagne di pancia, un errore puntare su reddito di dignità»

  • Postato il 9 novembre 2025
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Regionali Calabria, Noto: «Campagne di pancia, un errore puntare su reddito di dignità»

Antonio Noto

Intervista ad Antonio Noto su sondaggi e campagne elettorali partendo dalle regionali in Calabria. «L’80-90% delle campagne elettorali ha ormai impatto zero, perché non si agisce scientificamente. I candidati spesso spendono tanto in comunicazione, ma non fanno indagini preliminari per individuare i temi che intercettano consenso. Tridico, ad esempio, ha puntato da subito sul reddito di dignità. Se avesse fatto un sondaggio, avrebbe visto che solo il 20% dell’elettorato aveva un giudizio positivo di questo tipo di misure»

La tornata elettorale per le regionali non ha riservato sorprese finora. I risultati erano in linea, punto più punto meno, con le indicazioni dei sondaggi. Mai però come in questa tornata, in Calabria almeno, proprio i sondaggi sono stati messi in discussione e sono finiti per diventare tema di scontro politico, quando qualcuno ha gridato allo scandalo ‘scoprendo’ che c’erano istituti che avevano avuto in passato commesse dalla Regione.

Una polemica ‘inedita’, che si è vista solo in Calabria, ci dice al telefono Antonio Noto, sociologo e sondaggista, che da oltre trent’anni analizza il comportamento elettorale e sociale degli italiani. «Chissà, forse farà scuola – ci dice al telefono – Ad ogni modo, col senno del poi, chi ha messo in dubbio la correttezza degli istituti si dovrebbe vergognare, perché tutti i sondaggi si sono dimostrati centrati. Anzi, in alcuni casi Occhiuto era stato sottostimato di qualche punto. Tenga presente poi che il core business degli istituti di sondaggi sono le Regioni, i ministeri, i partiti politici di opposizione o partiti politici di governo. E se ho lavorato per una Regione, quando poi va al voto cosa faccio? Baro nei sondaggi? Stiamo scherzando? Noi sondaggisti nel nostro lavoro ci mettiamo la faccia».

I sondaggi si sono dimostrati centrati per tutte le elezioni di questo turno regionale. Sono le tecniche dei sondaggisti a essere diventate sempre più precise o le campagne elettorali stanno diventando ininfluenti?

«Partiamo da una premessa. In Italia vige il blackout della pubblicazione dei sondaggi a 15 giorni dalle elezioni. Il raffronto tra il dato elettorale e l’esito dei sondaggi deve quindi necessariamente riferirsi al dato raccolto due settimane prima del voto. Questo significa che il sondaggio non è una tecnica di proiezione, ma di fotografia dell’attuale. Quello che accade nei 15 giorni successivi in campagna elettorale può aumentare o diminuire il consenso di un candidato, per cui dalle urne potremmo avere una differenza più o meno marcata rispetto al risultato del sondaggio, ma è normale proprio perché il sondaggio non è una metodologia proiettiva. E quando l’esito del sondaggio viene confermato dal voto, non è neanche corretto dire che il sondaggio era preciso. Vuol dire che la campagna elettorale nelle ultime due settimane non ha cambiato il corso degli eventi. D’altra parte, nell’80-90% dei casi le campagne elettorali non spostano nulla in termini di consenso. Molto spesso i candidati spendono tanti soldi in comunicazione, ma non realizzando studi preventivi non riescono a farla in modo efficace, per cui la loro campagna elettorale ha sostanzialmente impatto zero».

Ricorda qualche esempio di campagna elettorale che incise sul risultato?

«Sì, nel 2006, quando Berlusconi riuscì a recuperare ben cinque punti sull’Unione di Prodi (che vinse di misura e rimase in carica due anni, ndr). È rimasta un’esperienza storica. Il punto è che non c’è la cultura della campagna elettorale e nessuno fa studi per intercettare gli indecisi, ma parla solo ai suoi».

Questo forse un po’ ci spiega qualcosa degli errori commessi dal centrosinistra qui in Calabria. Tutti, nelle interviste post voto, hanno ammesso che alla vigilia del turno elettorale erano convinti di aver recuperato punti. Avevano una percezione del tutto falsata dell’orientamento dei calabresi, costruita solo sui propri incontri elettorali, sul proprio bacino.

«Assolutamente sì. Guardi, a me sembra anche giusto che il candidato abbia una percezione vincente, perché deve avere lo stimolo per poter lottare. Il problema non è il candidato, ma lo staff del candidato, nel senso che il candidato non deve agire di pancia, deve agire scientificamente. Quando noi lavoriamo appunto con i candidati – di qualunque parte politica – operiamo sempre scientificamente. Facciamo l’analisi degli indecisi, facciamo dei focus group, valutiamo settimana dopo settimana come cambia il trend rispetto alle azioni messe in atto. Oggi è scoppiata la bolla della comunicazione, ma non è scoppiata la bolla della metodologia. Faccio un esempio rispetto a quello che è accaduto in Calabria. Il primo input comunicativo del candidato del centrosinistra qual è stato? Il reddito di dignità. Io non esprimo un giudizio di merito sulla misura, ne parlo in termini di attrazione di consenso. Bene, se lui avesse fatto un sondaggio, avrebbe visto che solamente il 20% dell’elettorato aveva un giudizio positivo di questo genere di interventi».

Mi diceva che voi lavorate con alcuni candidati, quindi in Italia questa cultura della metodologia è presente.

«Sì, alcuni casi ci sono. Ma sa qual è il paradosso? Che negli anni di Berlusconi era molto più diffusa, perché Berlusconi – colui che ha introdotto in Italia il marketing politico – era uno che utilizzava sempre la metodologia scientifica, non diceva mai nulla a caso. Anzi, forse aveva la bulimia dei sondaggi. In quegli anni quindi, anche per una sorta di imitazione, le campagne elettorali, anche nel centrosinistra, erano più scientifiche. Oggi invece tendono a essere un po’ più di pancia. È il candidato che decide quello che deve dire, ma non riesce a comprendere che lui in quel momento sta vendendo un marchio. È chiaro, non deve prendere in giro i cittadini, ma deve concentrare la sua comunicazione sui temi che intercettano consenso, non su quelli che aumentano le distanze con l’elettore».

I social possono aver influito su questa comunicazione di pancia? Si ha l’impressione che molti candidati ritengano di conoscere l’orientamento dell’elettorato basandosi sui commenti e sui like.

«Come sa oggi esiste anche l’analisi del sentiment in rete…».

Sì, che si fa con tecniche di raccolta dei dati molto più capillari rispetto al semplice scrolling che fa il candidato su qualche pagina…

«Assolutamente. Ma anche l’analisi del sentiment fatta bene è fuorviante se pensiamo di usarla per analizzare e monitorare le opinioni della popolazione, perché non ha nessuna rilevanza da un punto di vista campionario. Il web è utilizzato dal 70-80% degli italiani, ma solo un 20%, polarizzato molto sugli estremi, scrive e commenta. Diciamo quindi che il web è importante perché aiuta a intercettare quei temi che hanno una forte probabilità di svilupparsi e di raggiungere tutta la popolazione, ma non serve come monitoraggio delle opinioni».

Facciamo un passo indietro. Come si fa un sondaggio?

«Le metodologie sono varie, qui ci limitiamo al caso dei sondaggi elettorali. Si inizia dalla formulazione del questionario, composto da domande che non devono influenzare le risposte. Non deve essere troppo lungo – l’intervista non può durare più di 9-10 minuti – altrimenti si rischia che l’intervistato chiuda prima oppure che risponda a caso pur di finire rapidamente. Poi c’è la costruzione del disegno campionario. Quando si dice, per esempio, che un sondaggio è stato realizzato su un campione di 1000, non vuol dire che sono state intervistate 1000 persone. Le interviste raccolte sono almeno 6mila/7mila, che servono a raggiungere un campione di mille, che sia rappresentativo per genere, età e area di residenza. Raccolti i dati, si passa alla loro analisi. È il momento più critico, perché i risultati di un sondaggio non sono la mera sommatoria delle risposte, divise per i vari candidati. I dati vengono elaborati, tramite algoritmi che tengono conto, ad esempio, del voto storico. Agli intervistati chiediamo anche come hanno votato in precedenza o in altre elezioni».

C’è una buona fetta di intervistati che si rifiuta di rispondere.

«Analizziamo anche i rifiuti. Consideriamo sesso ed età, suddividiamo per categoria professionale e sociodemografica e associamo a ciascuno un cluster di appartenenza. Da qui ricaviamo un’ipotesi di come potrebbe votare anche chi non ci ha risposto».

Ed è attendibile?

«Molto. Si basa sull’esperienza. Le do un altro dato. Il 60% di chi si rifiuta di partecipare a un sondaggio è un elettore di centrodestra».

Si vergognano a dirlo?

«È più complesso. Di solito i rifiuti si concentrano in alcune classi sociali. Generalmente chi ha un titolo di studio alto partecipa di più ai sondaggi rispetto a chi ha un titolo di studio basso. Questo perché può sentirsi inadeguato a parlare di politica e preferisce non rispondere. È stato sempre così e sono più di 30 anni che faccio questo lavoro».

Quindi tendenzialmente chi ha un titolo di studio più basso, chi appartiene ad una classe a basso reddito vota centrodestra?

«Generalmente sì. È uno scenario molto cambiato rispetto a trent’anni fa».

In Calabria si è votato mentre era in corso un’inchiesta. La stessa cosa è avvenuta nelle Marche. Lì Ricci ha perso e ha tirato in ballo la campagna elettorale degli avversari che avrebbe strumentalmente usato l’inchiesta. Anche Occhiuto era indagato, ma ha vinto nettamente e migliorato anche il consenso del 2021. Qual è la sua impressione? Nella Marche ha avuto un effetto e in Calabria no?

«In Calabria l’inchiesta ha contato zero, nelle Marche ha contato zero. Ricci non ha perso per l’inchiesta giudiziaria. Noi avevamo fatto dei focus group sulle Marche, sugli indecisi, prima che si rendesse nota l’indagine. E lì ci siamo resi conto che la reputazione di Acquaroli era migliore della reputazione di Ricci e quindi la probabilità che gli indecisi si spostassero verso il candidato di centrodestra era maggiore rispetto alla probabilità che votassero per il centrosinistra».

Gli elettori sono anestetizzati rispetto al tema?

«Diciamo che forse gli elettori si sono abituati a capire che un avviso di garanzia è solo un primo tempo di un’indagine e non è la sentenza».

In che modo l’intelligenza artificiale può aiutare, se può farlo, il vostro lavoro?

«Noi abbiamo iniziato a usare l’intelligenza artificiale, ma siamo in una fase iniziale. La utilizziamo nella fase di costruzione del campione e del questionario o anche per avere in maniera più veloce informazioni sui partiti e sui candidati. Faccio un esempio. Stiamo lavorando ora sulle prossime tre regioni al voto. Della Campania sappiamo quanto contino, come in Calabria, i candidati al Consiglio. Ho fatto quindi un’analisi molto complessa su tutti i candidati al Consiglio regionale della Campania, chiedendo all’intelligenza artificiale un indicatore per ciascuno in termini di presenza su quel territorio, ruolo e attività. Ho dovuto fare molte domande, ma in 4/5 minuti l’intelligenza artificiale ha elaborato una risposta a cui probabilmente sarei arrivato solo dopo 6-7 giorni di ricerca. Quindi è molto utile e avrà uno sviluppo enorme, ma dobbiamo considerarla sempre come un supporto, non come elemento sostitutivo».

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