Rereri, le borse su misura fatte con gli scarti dei brand di lusso. L’idea sostenibile nata da una “doccia fredda” e un docufilm su Netflix
- Postato il 27 giugno 2025
- Moda E Stile
- Di Il Fatto Quotidiano
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Certe rivoluzioni cominciano da una doccia gelata. Nel caso di Franco Gabbrielli, imprenditore toscano con un passato nella pelletteria, la svolta è arrivata dopo aver guardato un documentario su Netflix: “Buy Now”. Due ore di immagini impietose su cosa accade dopo che clicchiamo “compra ora”, tra scarti tossici della moda veloce e oceani invasi da plastica, pellami e rifiuti che nessuno vuole vedere. “Quel film mi ha aperto gli occhi”, racconta oggi Gabbrielli. “Per anni ho lavorato nel mondo delle borse, vendere era la mia missione, ma non mi ero mai chiesto davvero che fine facessero i capi che non utilizziamo più o che restano invenduti. Ero come uno che sta sotto la doccia due ore senza pensare allo spreco. Poi ho visto quel documentario e mi sono detto: posso fare qualcosa, e posso farlo proprio con le borse, l’unica cosa che davvero conosco”. Così nel 2024 è nato Rereri, acronimo che sintetizza un programma etico prima che imprenditoriale: Recupero, Responsabile, Rivoluzionario. L’idea è semplice solo in apparenza: riutilizzare i pellami di altissima qualità provenienti dalle lavorazioni dei grandi marchi del lusso per creare borse di nuova generazione, artigianali, personalizzabili e – soprattutto – sostenibili.
Ma il progetto va oltre il semplice riuso. Rereri si fa carico anche della “fine” del prodotto: “Se dopo due anni ti sei stufato, riportaci la borsa. Te la riqualifichiamo, te la trasformiamo, la rendiamo di nuovo tua. Se non la vuoi più, la recuperiamo noi e la rimettiamo in circolo sul mercato vintage“, spiega Gabbrielli. “L’idea è che un oggetto bello e ben fatto non perda mai valore, anzi. Come una borsa Hermès che diventa un’eredità. Noi vogliamo fare qualcosa di simile, ma accessibile e circolare”. Il cuore della collezione Rereri è la borsa “Margherita”: una shopping bag trapezoidale, disponibile in quattro misure e in migliaia di varianti possibili. La vera rivoluzione? Il cliente diventa co-designer: entra nello store Piero Tucci, di fronte a Palazzo Vecchio a Firenze, e sceglie con l’aiuto di un assistente designer ogni componente – pelle, colore, cucitura, zip, manici, tracolla – mentre le artigiane assemblano la borsa sotto i suoi occhi. “È un ritorno alla bottega”, racconta Gabbrielli. “Non sopporto più i negozi dove le commesse stanno col telefono in mano. Qui si vive un’esperienza, si crea qualcosa insieme. E il cliente esce con un pezzo unico, personale, pensato e fatto in tempo reale”.
Alla base di tutto c’è una scelta radicale: nessuna produzione in serie, niente vendita online, solo pezzi unici creati al momento. “Tutti i materiali sono di recupero, ma certificati. Moda, arredamento, tessile: l’importante è che nulla sia prodotto appositamente per noi. Vogliamo che il nostro impatto sia il più vicino possibile allo zero”. Rereri ha debuttato con successo all’edizione 108 di Pitti Uomo, conquistando visitatori e buyer con la sua formula “fashion beyond waste”. Durante la manifestazione, grazie alla collaborazione con ZeroW, sono stati organizzati workshop esperienziali dove le artigiane hanno mostrato dal vivo la creazione delle borse, mentre il pubblico toccava con mano la qualità dei materiali e il valore del lavoro umano. “Il sogno? Creare un format replicabile“, conclude Gabbrielli. “Un piccolo spazio, un giovane che vuole lavorare, una bottega dove si crea. Non per diventare miliardari, ma per fare qualcosa che abbia senso”. Rereri è questo: una borsa, certo. Ma anche un manifesto contro il consumo cieco, un ritorno alla qualità che dura, una scelta consapevole per chi vuole portare con sé una storia. Con la stessa leggerezza di un fiore: una margherita.
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