Spagna, il diritto all’aborto nella Costituzione: così Sanchez vuole blindare un diritto per proteggerlo dalle destre

  • Postato il 10 ottobre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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La Spagna si prepara a un passo storico. Il governo di Pedro Sánchez ha annunciato l’intenzione di portare in Parlamento una proposta per inserire nella Costituzione il diritto all’interruzione volontaria della gravidanza. Se approvata, la riforma renderebbe la Spagna uno dei pochi Paesi europei a tutelare questo diritto a livello costituzionale, insieme a Francia e Slovenia.

L’annuncio è arrivato direttamente dal presidente del governo attraverso la piattaforma X, in un momento in cui nel Paese si moltiplicano iniziative e discorsi antiabortisti promossi da amministrazioni locali di destra. Emblematica la recente decisione del Comune di Madrid – guidato dal popolare José Luis Martínez-Almeida – di approvare, con il sostegno di Vox, una proposta che prevede di “informare” le donne intenzionate ad abortire sui presunti rischi di “depressione e alcolismo” legati all’intervento.

Dietro questa escalation si muove una rete consolidata di organizzazioni ultraconservatrici vicine a Vox. Tra queste, il collettivo HazteOír, noto per le sue campagne provocatorie contro i diritti Lgbtq+ e l’educazione sessuale, e la sua emanazione Derecho a Vivir, attiva da anni contro la legge del 2010. Entrambe diffondono la narrativa pseudoscientifica della “sindrome post aborto” e rivendicano la “vita dal concepimento” come principio non negoziabile.

Questi gruppi hanno salutato con favore la misura madrilena, definendola “un primo passo per informare le donne sulla verità che il femminismo nasconde”. In un comunicato, Derecho a Vivir ha lodato Vox per “aver restituito voce a chi difende la maternità e la vita dei più vulnerabili”. Una retorica che, secondo molti osservatori, rispecchia la strategia culturale del partito di Santiago Abascal, volta a riportare il dibattito sui diritti riproduttivi su un piano morale e religioso, in contrapposizione alla visione laica del governo.

La ministra della Sanità, Mónica García, ha reagito duramente, definendo la misura “violenza camuffata” e “pura disinformazione”. “Si tratta di un tentativo di colpevolizzare le donne e limitare la loro libertà di scelta”, ha dichiarato, annunciando un’indagine sulla legalità della diffusione di informazioni false da parte di enti pubblici.

Secondo i dati del Ministero della Sanità, nel 2024 in Spagna si sono registrate 106.172 interruzioni volontarie di gravidanza, un lieve aumento rispetto all’anno precedente. Tuttavia, otto su dieci continuano ad avvenire nel settore privato: un dato che evidenzia la disomogeneità territoriale e la resistenza di alcune regioni, come Madrid, dove su oltre 160mila interventi in dieci anni solo 167 sono stati eseguiti negli ospedali pubblici.

L’iniziativa di Sánchez arriva a dieci anni dal fallimento della riforma Gallardón, il tentativo del governo conservatore di Mariano Rajoy di restringere drasticamente l’accesso all’aborto. Nel 2014, il ministro della Giustizia Alberto Ruiz-Gallardón propose una legge che lo consentiva solo in caso di stupro o grave rischio per la salute della madre, cancellando di fatto la legge del 2010. La reazione fu immediata: una mobilitazione femminista senza precedenti riempì le piazze spagnole e costrinse Rajoy a ritirare la proposta. Gallardón si dimise poco dopo, travolto dalle proteste. Da allora, il diritto all’aborto è diventato in Spagna un simbolo di libertà e autodeterminazione.

La scelta di Sánchez è dunque anche un gesto politico: blindare un diritto per proteggerlo da nuove regressioni. Come in Francia – che nel marzo 2024 ha modificato la propria Costituzione per sancire la “libertà garantita” delle donne di interrompere la gravidanza – l’obiettivo è duplice: tutelare un diritto consolidato e neutralizzare il discorso reazionario che lo mette in discussione.

Il riferimento francese non è casuale. Emmanuel Macron promosse la riforma dopo la decisione della Corte Suprema statunitense che nel 2022 aveva cancellato la storica sentenza “Roe v. Wade”. Anche allora, l’intento era quello di trasformare un diritto fragile in un principio costituzionale, sottraendolo alla contesa politica.

Nel panorama europeo, la Spagna si colloca ora in una posizione di avanguardia. Anche la Costituzione slovena riconosce un diritto analogo, definito come “libertà umana di decidere sul numero e la nascita dei figli”, un lascito del periodo jugoslavo. Ma altrove la tendenza è opposta: in Polonia l’aborto è quasi del tutto vietato e in Italia cresce l’influenza dei movimenti “pro vita” nelle politiche regionali e sanitarie.

Con questa proposta, il governo Sánchez tenta di trasformare il diritto all’aborto in un pilastro dell’uguaglianza di genere, non più solo una legge ordinaria ma una garanzia costituzionale. È anche una risposta strategica a un clima politico in cui la destra e l’estrema destra cercano di reimporre un controllo morale sul corpo delle donne attraverso la disinformazione e la paura.

Come in Francia, l’obiettivo finale è disarmare culturalmente chi mette in discussione l’autonomia delle donne. In un’Europa attraversata da regressioni e derive identitarie, la Spagna sceglie la via della Costituzione per affermare che la libertà di decidere sul proprio corpo non è – e non deve più essere – oggetto di negoziazione politica.

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