Spese per la difesa, l’Italia arriva al 2% del Pil? Sì, con pensioni e la Guardia di Finanza. E forse nel calcolo entra pure il Ponte

  • Postato il 16 maggio 2025
  • Politica
  • Di Il Fatto Quotidiano
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L’Italia ha già raggiunto il 2% di spese in Difesa. O almeno così ha affermato il ministro degli Esteri Antonio Tajani in occasione del vertice informale dell’Alleanza atlantica ad Antalya, in Turchia. Il ministro ha aggiunto che l’Italia ha già inviato al Segretario generale Mark Rutte il documento con i nuovi calcoli effettuati dal governo italiano che attestano l’effettivo raggiungimento dell’obiettivo di spesa in difesa tanto richiesti dalla Nato.

Ma come è possibile che Roma sia improvvisamente arrivata all’obiettivo? Al momento il documento in questione non è disponibile al pubblico, ma come dichiarato in diverse occasioni da più esponenti del governo Meloni è stato effettuato un diverso calcolo delle voci di spesa esistenti sulla base della metodologia NATO. Ciò vuol dire che nel documento presentato al Segretario Rutte sono state molto probabilmente inserite anche le spese per le pensioni dei militari, oggi a carico dell’Inps; quelle per la Guardia costiera, che fino ad oggi facevano capo al ministero dei Trasporti; della Guardia di finanza, presenti nel bilancio del Ministero delle Finanze; ma anche quelle per lo Spazio, di competenza del ministero dell’Università. Oltre a quelle per le missioni militari all’estero (Mef) e per l’acquisto di armamenti, calcolate nel budget del ministero dell’Industria.

Come ricordano l’Osservatorio Milex e altre riviste specialistiche sulla Difesa, un calcolo di questo tipo presenta non pochi problemi. Alcune voci di spesa citate più volte dagli esponenti di governo non rientrano a pieno titolo nella metodologia NATO. L’Alleanza ammette l’inclusione nelle spese in difesa anche quelle destinate ad altri corpi – quindi Carabinieri, Guardia di finanza e Guardia costiera – ma specifica che ciò può avvenire “(…) solo in proporzione alle forze addestrate alle tattiche militari, equipaggiate come una forza militare, in grado di operare sotto l’autorità militare diretta nelle operazioni di dispiegamento e che possono, realisticamente, essere dispiegate al di fuori del territorio nazionale a sostegno di una forza militare”. Ciò significa che solo alcune voci di spesa specifiche possono essere inserite nel nuovo calcolo effettuato seguendo la metodologia adottata dall’Alleanza atlantica. L’Italia tra l’altro ha già provato in passato a giustificare in questo modo il raggiungimento del 2 percento del PIL in difesa, ma senza successo.

La situazione a livello NATO però è decisamente diversa rispetto al passato. Il Segretario Rutte è intenzionato a presentare un nuovo piano in occasione del vertice che si svolgerà all’Aja il 24 e il 25 giugno per un aumento graduale del livello della spesa fino al 5% entro il 2032. Secondo indiscrezioni del giornale tedesco Spiegel, il segretario punta in questo modo ad alleggerire il carico degli Stati Uniti – che forniscono attualmente poco più del 50 per cento delle capacità militari in tutti i piani NATO – e ad aumentare l’impegno degli altri membri dell’Alleanza. I partner europei e il Canada, riporta sempre Spiegel – dovrebbero fornire il 70 percento delle capacità militari NATO, mentre gli Stati Uniti solo il 30 percento. Da qui la richiesta di maggiori investimenti da parte degli alleati.

Rutte ha anche fornito dei dettagli interessanti sullo spacchettamento delle spese in difesa. Del nuovo 5% richiesto, il 3,5 sarà destinato alla spesa per il raggiungimento dei requisiti militari fondamentali, mentre il restante 1,5 sarà dedicato a spese più ampie per la sicurezza, da definire con gli alleati tramite negoziati. Questa distinzione e l’eventuale allargamento del concetto di spese per la sicurezza potrebbe fare il gioco dell’Italia (e in generale di tutti i paesi NATO). L’indiscrezione del giornale tedesco però fornisce un ulteriore dettaglio. Nella lettera riservata agli alleati, Rutte specifica che l’1,5 percento può essere destinato a “spese legate alla difesa, ad esempio il costo di nuove strade, ponti o porti che sono rilevanti per il dispiegamento delle truppe“.

E qui torna in causa il ponte sullo stretto di Messina. Secondo il governo italiano, quest’opera dovrebbe essere inserita nella rete delle infrastrutture europee rilevanti dal punto di vista militare – anche per ottenere fondi comunitari per la sua costruzione – ma Bruxelles continua a rigettare la proposta di Roma. Da qui l’approvazione ad aprile della delibera “IROPI” contenente le “motivazioni imperative di rilevante interesse pubblico” del ponte. Il documento descrive l’infrastruttura come utile ad “elevare notevolmente i livelli di efficienza ed efficacia dei processi organizzativi e funzionali di safety e security” e “chiave per il trasferimento delle forze NATO dal Nord Europa verso il Mediterraneo“. Considerando che nel 2025 le spese per opere complementari al ponte ammontano a poco più di 1 miliardo, poter inserire tale infrastruttura nel nuovo computo NATO sarebbe utile per il raggiungimento del 2 percento del PIL di spese in difesa.

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Il Fatto Quotidiano

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