Suicidio assistito, “in Veneto negato il diritto a 76enne affetta da un patologia neurodegenerativa”

  • Postato il 6 maggio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Il Veneto – guidato dal leghista Luca Zaia che più volte si è espresso sulla libertà di decidere – nega a una paziente il diritto al suicidio assistito. Ancora una volta è l’Associazione Luca Coscioni a denunciare il limbo in cui viene lasciata una persona gravemente malata che ha dovrebbe avere accesso alla morte medicalmente assistita. “Donatella” è una donna veneta di 76 anni, affetta da una patologia neurodegenerativa. Il 6 settembre 2024 ha chiesto alla sua azienda sanitaria di riferimento la verifica delle condizioni di cui alla sentenza “Cappato-Dj Fabo”. Solamente dopo una lettera di diffida dei legali della signora del febbraio scorso, l’azienda sanitaria ha inviato la relazione finale della commissione medica multidisciplinare che rileva che “Donatella” è capace di autodeterminarsi, affetta da patologia irreversibile che determina sofferenza intollerabile, ma non è tenuta in vita da un trattamento di sostegno vitale. Due mesi fa davanti alla Consulta si è tenuta l’ennesima udienza per esprimersi sull’eccezione sollevata dal gip di Milano per i casi di Romano, 82 anni, di origini toscane e residente a Peschiera Borromeo, e la signora Elena, veneta di 70 anni, accompagnati in Svizzera. Intanto chi attende e spera di potere decidere della propria vita, deve combattere molte battaglie tra dolori insopportabili.

La sentenza della Consulta del 2014 – Come Donatella, appunto, che dipende totalmente dai propri caregiver per lo svolgimento di ogni sua funzione: senza la loro assistenza non potrebbe prendere i medicinali, alimentarsi e bere dell’acqua, ma sarebbe abbandonata a sé stessa e morirebbe tra atroci sofferenze”, commenta l’avvocata Filomena Gallo, Segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni e legale di Donatella insieme agli avvocati Angioletto Calandrini, Francesca Re e Alessia Cicatelli. “La stessa ASL è consapevole di questa sua totale dipendenza da terzi, lo evidenzia anche nella sua relazione finale. Ma nonostante questo, nega l’accesso al suicidio medicalmente assistito e disapplica quindi la sentenza 135/2024 della Corte costituzionale”. Lo scorso 18 luglio la Consulta ha infatti esteso la nozione di “trattamenti di sostegno vitale”.

I giudici hanno spiegato la sentenza di 6 anni fa “si basa sul riconoscimento del diritto fondamentale del paziente a rifiutare ogni trattamento sanitario praticato sul proprio corpo, indipendentemente dal suo grado di complessità tecnica e di invasività“. E sottolinea che “la nozione include quindi anche procedure – quali, ad esempio, l’evacuazione manuale, l’inserimento di cateteri o l’aspirazione del muco dalle vie bronchiali – normalmente compiute da personale sanitario, ma che possono essere apprese anche da familiari o “caregivers” che assistono il paziente, sempre che la loro interruzione determini prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo“. Quindi non solo, in senso stretto, il macchinario che tiene in vita il paziente.

L’opposizione della paziente – Donatella – che è affetta da paralisi sopranucleare progressiva – si è opposta a questo diniego tramite i suoi legali con anche una consulenza medica del dottor Mario Riccio, anestesista, medico di Piergiorgio Welby che ha seguito altri casi di suicidio medicalmente assistito, perché tale diniego si basa su di una interpretazione dei requisiti illegittima e contraria alle sentenze della Corte costituzionale in materia. Il giorno successivo all’invio della “opposizione con diffida”, il Direttore sanitario della Asl ha chiesto urgentemente una rivalutazione delle condizioni di Donatella al presidente del Comitato etico e non alla Commissione medica. Si attende ora l’esito.

“Non solo la Asl disapplica una sentenza della Corte costituzionale, ma ha completato la procedura di verifica in tempi troppo lunghi – oltre 5 mesi – e solamente dopo una diffida dei legali di ‘Donatella’ ha trasmesso la sua relazione finale. Non è accettabile che persone che patiscono sofferenze intollerabili si vedano negare i diritti che la Corte costituzionale ha garantito. È proprio per evitare che vi siano tempi di risposta diversi, a seconda della singola Asl, che è necessaria una legge che preveda tempi e procedure certi. Chiediamo al Veneto di seguire l’esempio della Toscana e tornare a discutere della proposta di legge ‘Liberi Subito’ perché nessuna persona malata debba più aspettare tutti questi mesi per avere una risposta”, conclude Marco Cappato, Tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni.

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Il Fatto Quotidiano

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