Sulla famiglia nel bosco il solito dibattito ideologico: ma qui la domanda vera è un’altra
- Postato il 26 novembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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di Roberto Del Balzo
Quando c’è un argomento un po’ maleodorante come un buco nella terra dove finiscono gli escrementi, in tanti tra politici, giornalisti, geronto-psichiatri o sociologi e il mondo esilarante dei social seguono la scia mefitica per lasciare il proprio commento, sempre strumentale, ossessivamente retorico e pieno di ideologie che deragliano nell’insensatezza. L’argomento sono i figli della famiglia che abitava il bosco di Palmoli trasferiti in una struttura. Il dibattito si è ridotto a questo: da una parte la retorica della “famiglia autentica e perseguitata”, dall’altra l’immagine caricaturale dello Stato che interviene per punire una scelta di vita alternativa. Non solo politici ma anche filosofi di “destra” ci sono cascati con post sui social (sì, quel luogo un po’ esilarante dove tutti diventano sciamani o giudici supremi).
Insomma è subito diventato il solito teatro dei pupi: la sinistra green che odia la natura, la destra che difende famiglie che non ha mai incontrato, la magistratura rappresentata come un covo di stregoni progressisti e la folla dei commentatori che applaude senza aver letto neppure una riga degli atti, senza analizzare le relazioni dei servizi sociali, capire lo stato di salute dei minori, ascoltare più di una campana.
Lasciamo tutto questo – l’epica a buon mercato, la parabola morale prefabbricata, i titoloni indignati – nello stesso buco senza fondo e adesso pieno di politici gesticolanti. La domanda vera è un’altra: la libertà usata come amuleto può diventare una superstizione con cui mascherare, nascondere e confondere una prigione? Esiste al mondo qualcosa che non sia una gabbia? La vita nel bosco, l’educazione super alternativa, il rifiuto della società, delle convezioni, delle contaminazioni e via dicendo può trasformarsi in un recinto ideologico, perfino più rigido di quello che si vorrebbe evitare.
Mettiamo da parte le relazioni degli assistenti sociali, non parliamo dell’avvelenamento da funghi che ha portato i bambini al pronto soccorso, proviamo a lasciarci andare come un paracadutista che invece di atterrare risale e può guardare tutto dall’alto, distaccandosi dalle meschinità della vicenda. E dall’alto, forse, la libertà per essere tale ha bisogno di un limite altrimenti per quei bambini è solo il sinonimo di dipendenza dall’adulto che controlla ogni orizzonte. La libertà non è sottrarsi ma affrontare, imparare ad affrontare la complessità, le contraddizioni e un mondo che bisogna comprendere per essere liberi o almeno tentare di esserlo un po’.
C’è un bel film che andrebbe rivisto in questi giorni, è Captain fantastic dove questa superstizione della libertà è smascherata: il bosco non salva, il bosco nasconde. Perché questi bambini di Palmoli, prima o poi entreranno in città e, come nel film, non sapranno parlare con coetaneo, non sapranno orientarsi, non sapranno vivere se non dentro la loro gabbia, quel culto imperfetto di purezza creato dai genitori. Forse servirebbero più punti domanda.
Ma la questione è che la discussione è stata solo ideologica: nessuno o in pochi hanno avuto il coraggio di chiedersi che libertà fosse quella offerta ai bambini, se li preparasse o li intrappolasse, se allevasse persone o adepti. Dall’alto, sempre dall’alto, guardando il bosco di Palmoli allontanarsi, appare altro, un mondo e i suoi limiti e con esso l’ultima domanda: tra le cose che dobbiamo imparare non c’è forse l’accettazione che non saremo mai liberi?
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