Sull’Iran l’Ue plaude a Israele: una realpolitik che si spiega con decenni di dissidi

  • Postato il 20 giugno 2025
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di Claudia De Martino

Il 13 giugno scorso Israele ha improvvisamente attaccato l’Iran, senza che la mossa venisse minimamente anticipata dalla maggioranza degli analisti. Tutte le aspettative erano infatti appuntate sulla prosecuzione dei negoziati diretti Usa-Teheran sul nucleare iraniano, attesa di lì a due giorni in Oman. Tuttavia, mentre il Presidente Trump fingeva di mediare e la leadership della Repubblica islamica pensava di prendere tempo, convinta che la base MAGA spingesse l’Amministrazione Trump verso un progressivo disimpegno in Medio Oriente, i vertici militari israeliani preparavano i loro piani d’attacco con l’assenso degli Usa.

L’attacco ha chiaramente colto le cancellerie europee di sorpresa, ma quello che ha sbalordito i cittadini europei, invece, è stata la reazione dei loro rispettivi governi e della Commissione europea, che si sono univocamente schierati dalla parte di Israele senza sfumature né distinguo, dichiarando l’attacco preventivo israeliano come un’“azione difensiva” e facendo disonestamente appello ad una “descalation”. I cittadini europei, in buona fede, si sarebbero attesi la reazione opposta: ovvero un accorato appello al rispetto del diritto internazionale, che prescrive, nelle sue grandi linee, il diritto di ogni stato alla propria integrità territoriale, soprattutto dopo le tensioni sorte tra Ue e Israele sull’interminabile guerra a Gaza, con i suoi oltre 55.000 morti, la carestia e la quotidiana catastrofe umanitaria.

Come spiegare questa dissonanza di fondo tra cittadini ed élites politiche? In primis, tracciando una breve panoramica delle relazioni Ue-Iran nelle sue linee essenziali. La Repubblica islamica d’Iran è sottoposta a sanzioni dal 1979, ma più specificatamente dal 2006, quando l’Agenzia Internazionale per l’energia atomica (AIEA) trasferì il caso del nucleare iraniano al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Da allora, il Paese è stato sottoposto a diversi regimi sanzionatori: americani, internazionali (ovvero promulgate dall’Onu) ma anche europei, e nello specifico a 233 sanzioni dirette a persone e 44 a istituzioni solo da parte Ue. Tali sanzioni furono temporaneamente rimosse nel 2015 dopo la conclusione del Piano d’azione congiunto globale, meglio noto come Accordo comprensivo sul nucleare (JCPOA), per poi essere ripristinate dall’Ue il 17 ottobre 2023 a seguito del fallimento degli stessi per la fuoriuscita degli Stati Uniti nel primo mandato Trump (maggio 2018) e la ripresa dell’arricchimento dell’uranio impoverito con finalità ambigue da parte di Teheran.

Nel 2022, sotto l’Amministrazione Biden, una breve finestra di negoziato si era aperta tra le parti ma si richiuse successivamente sulla pretesa della leadership iraniana di essere depennata dalla lista degli Stati che supportano il terrorismo: proposta irricevibile da parte dei Paesi occidentali, che ritengono che Teheran figuri su quella lista non soltanto per la sua ricerca di procurarsi la bomba nucleare, ma anche per il suo programma balistico regionale e per il suo sostegno a gruppi armati e milizie sciite in tutta la regione.

Tuttavia, il dissidio tra Europa e Iran è andato solo approfondendosi negli ultimi anni e non solo per la questione nucleare: il 20 luglio 2023, infatti, è stato varato un nuovo pacchetto di sanzioni Ue contro l’Iran per la vendita di droni e missili alla Russia nel conflitto russo-ucraino. Ancora, il 14 maggio 2024 un terzo pacchetto di sanzioni Ue è andato ad aggiungersi ai precedenti per le attività di sostegno militare e finanziario a gruppi armati non-statali in Medio Oriente, ovvero alle varie milizie dell’Asse della resistenza (la Jihad islamica a Gaza, Hash-as-Shaabi e Kataeb Hizbullah in Iraq, Hizbullah in Libano, gli Houthi Ansar Allah in Yemen, la Liwa Zeinabiyoun in Pakistan, Harakat al Nujaba in Siria, la Liwa Fatemiyoun in Afghanistan, di entità molto variabili, oscillanti tra i 10.000 e i 10.000 membri), orientato alla destabilizzazione della regione.

Infine, l’appello finale all’AIEA è stato lanciato l’11 giugno proprio da tre Paesi europei – Francia, Gran Bretagna e Germania, membri del Consiglio direttivo – preoccupati dalla corsa dell’Iran all’arricchimento dell’uranio al 60% a ritmi non giustificati da possibili usi civili e dieci volte oltre i limiti pattuiti nel JCPOA e dall’incapacità dell’Agenzia di monitorarne i programmi per accertarne la natura pacifica (lettera del Foreign, Commonwealth and Development Office e dell’Ambasciatore tedesco presso l’IAEA Rudiger Bohn), nonostante il rapporto del direttore dell’Intelligence Usa Tulsi Gabbard avesse affermato a marzo che il Paese fosse a tre anni dall’acquisizione della bomba.

L’Unione Europea si è resa conto che l’establishment iraniano, uscito indebolito dal confronto militare con Israele attraverso i suoi proxies – ovvero le milizie dell’Asse della resistenza – e sconvolto dal rapido quanto inaspettato crollo del regime di Assad nel dicembre 2024, sia determinato a superare tutte le linee rosse negoziate negli ultimi anni e puntare tutto sull’ottenimento in tempi rapidi dell’arma nucleare come unica possibilità di blindare il regime e garantire la propria integrità territoriale rispetto alla crescente aggressività militare israeliana dopo il 7 ottobre.

Di fronte a tale scenario, l’Ue, che ritiene la proliferazione nucleare in Medio Oriente un’evoluzione pericolosa e che teme che un rafforzamento della posizione iraniana possa ripercuotersi negativamente anche sulla guerra in Ucraina consolidando l’asse filo-russo, – ma che è costretta ad affidarsi alla diplomazia, nell’epoca delle relazioni internazionali impostate sulla forza, non per genuino interesse nella difesa di un ordine liberale ma a causa della sua relativa debolezza militare, ha accolto con sollievo la notizia dell’attacco israeliano all’Iran come un’azione in grado, nello scenario peggiore, di ritardare l’acquisizione della bomba nucleare da parte di Teheran, e, in quello migliore, di operare un cambio di regime, annullando la minaccia iraniana.

In tutto questo, gli unici a soffrire delle conseguenze ultime di un regime autoritario, che li ha condotti loro malgrado in guerra dopo averli per anni impoveriti finanziando milizie in tutta la regione e attirando sanzioni che si sono a maggioranza ripercosse sulla società civile, sono i cittadini iraniani, con il cui destino nessuna democrazia sembra oggi solidarizzare. Segno evidente dell’avanzare della logica della Realpolitik e dell’indebolimento della difesa dei diritti umani universali, a cui sembrano fare eccezione i civili iraniani, e della drammaticità della scelta che attende quest’ultimi, schiacciati tra un regime criminale come la Repubblica islamica e i loro presunti “liberatori”, che potrebbero fare dell’Iran un’altra Gaza, con il tacito assenso europeo.

Sempre che tutto l’attacco all’Iran non sia stato orchestrato solo per sperimentare l’impatto della nuova bomba GBU-57 di nuova fabbricazione Usa, ancora in attesa di un testing ground.

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