Taglio delle emissioni: nessun accordo sugli obiettivi Ue al 2035 e al 2040. Pichetto Fratin ringrazia per il rinvio

  • Postato il 18 settembre 2025
  • Ambiente
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Tutto rinviato a ottobre. L’impegno della presidenza danese del Consiglio europeo di raggiungere un accordo sugli obiettivi europei di riduzione delle emissioni, prima del vertice sul clima delle Nazioni Unite, che si terrà il 24 settembre a New York, si scontra con l’opposizione di diversi Stati membri. E tra questi c’è anche l’Italia. Ergo: l’Unione europea non rispetterà la scadenza del 30 settembre, data entro cui avrebbe dovuto trasmettere all’Onu il proprio contributo nazionale determinato (Ndc) per il 2035 e questo inevitabilmente mette a repentaglio la leadership internazionale in tema di lotta al cambiamento climatico, a pochi mesi dalla Cop 30 del Brasile. Dopo la scia di studi e dati preoccupanti pubblicati negli ultimi giorni, i nodi da sciogliere alla riunione dei ministri dell’Ambiente dell’Ue, che si è svolta a Bruxelles, erano l’obiettivo climatico interno dell’Ue per il 2040 e l’Ndc per il 2035 che i Paesi dovrebbero già presentare in occasione dell’Assemblea Generale dell’Onu. Ma nessun accordo è stato trovato. Mentre la Cina sarebbe pronta a comunicare il suo contributo aggiornato, i ministri si sono confrontati su una dichiarazione di intenti che rimanda la discussione al Consiglio dei Capi di Stato e di Governo di ottobre. Si propone di ridurre le emissioni tra il 66,3% e il 72,5% al 2035. La presidenza danese ha accettato suo malgrado. E a Bruxelles il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, esprime la sua soddisfazione. “Ringrazio la presidenza danese per il lavoro svolto sin qui e – sottolinea – soprattutto per la scelta di rinviare le decisioni finali sulle modifiche alla legge clima al Consiglio Europeo. Su temi così importanti, che comprendono l’intera economia di ciascun Paese, è fondamentale che si esprimano i capi di Stato e di Governo”. A loro, sostiene Pichetto Fratin, spetta “definire il livello di ambizione”.

Le ragioni del rinvio – L’ala più progressista della Commissione Ue e la stessa presidenza danese del Consiglio avrebbero voluto che le discussioni sui due target andassero avanti in contemporanea per aumentare l’ambizione, invece avverranno separatamente, così come chiesto con insistenza soprattutto dalla Francia e dalla Germania. A cui non ha fatto fatica ad accodarsi l’Italia. La discussione sull’obiettivo al 2040 e, soprattutto, sulle sue condizioni necessarie e abilitanti è stata posticipata al Consiglio dei leader europei del 23 e 24 ottobre, spinta anche dalla richiesta della Germania e considerando le difficoltà interne della politica francese. Nelle stesse settimane, salvo rinvii, anche il Parlamento Europeo dovrà definire la sua posizione riguardo alla proposta della Commissione Ue, che chiede di ridurre le emissioni nette di gas serra del 90 per cento al 2040 (dopo aver smantellato, però, pezzo dopo pezzo il Green Deal). La proposta di legge è arrivata tardi e con una serie di flessibilità per gli Stati che, però, chiedono di più. “Respingiamo l’obiettivo del 90% perché non vediamo la strada tecnologica per raggiungerlo” ha dichiarato il ministro della Repubblica Ceca, Petr Hladik. Ma anche i gruppi politici del Parlamento Europeo sono ancora lontani dal raggiungimento di un accordo. Dopo lo slittamento del voto tra gli stati membri al Consiglio Ambiente (chiesto da oltre 10 paesi tra cui Francia, Germania, Italia, Polonia e Slovacchia), la Commissione Ambiente (Envi) del Parlamento Ue ha deciso di rinviare la sua decisione sul target climatico al 2040 inizialmente previsto per il 23 settembre. L’intenzione è quella di metterla in agenza nella settimana tra il 13 e il 17 ottobre, prima del vertice Ue del 23 ottobre. L’Ndc, invece, dovrebbe essere deciso poco prima della Cop 30 che si terrà a Belem, in Brasile. Secondo Chiara di Mambro, direttrice Strategia Italia e Europa del think tank italiano per il clima Ecco, “la scelta di rimandare la discussione è un rischio ma, in questa fase, anche l’unica strada politicamente percorribile per discutere le condizioni entro cui gli Stati membri vedono l’implementazione del nuovo obiettivo di riduzione delle emissioni al 2040”.

La dichiarazione d’intenti – Il vertice, quindi, si è concentrato sulla dichiarazione d’intenti, che propone di ridurre le emissioni Ue tra il 66,3% e il 72,5% al 2035 riflettendo due possibili traiettorie per il raggiungimento della neutralità climatica al 2050 (già previsto dalla legge): una lineare tra il 2030 e il 2050 (quindi 66,3% al 2035) e una che riflette la proposta della Commissione di un taglio emissivo del 90% al 2040 (quindi 72,5% al 2035) come richiesto dal Comitato consultivo scientifico europeo sui cambiamenti climatici e dalla valutazione d’impatto della Commissione europea. Non si tratta di un Ndc definitivo che, quindi, dovrà necessariamente essere presentato almeno prima della Cop, che si svolgerà tra il 10 e il 21 novembre. Tra l’altro, proprio in queste ore, l’Australia ha fissato un nuovo obiettivo di riduzione delle sue emissioni di gas serra, con il governo che intende tagliarle tra il 62% e il 70% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2035. Secondo il ministro Pichetto Fratin il rinvio rappresenta “una decisione di grande responsabilità e un forte segnale politico che riconosce la complessità e l’impatto strategico di questo dossier, che non può essere affrontato senza un chiaro indirizzo del Consiglio Europeo”. Il rischio, per Pichetto, è che gli Stati membri si trovino “ancora una volta” di fronte a “obiettivi inapplicabili e a costi insostenibili per i propri cittadini e le proprie imprese. E ribadisco ancora una volta, perché sappiamo quanto sia costato alle economie nazionali dover ottemperare a degli obblighi derivanti da scelte ideologiche”.

Il ministro Pichetto sulla proposta della Commissione – Quanto all’obiettivo proposto dalla Commissione Ue per tagliare del 90% le emissioni entro il 2040, per l’Italia – sottolinea Pichetto – il “nodo” politico restano le condizioni abilitanti: “Non possiamo chiedere alle nostre imprese di competere a livello globale con regole più rigide e senza adeguati strumenti finanziari. Non possiamo chiedere ai cittadini di sostenere il costo della transizione senza garanzie sull’accessibilità energetica”. Rispetto al ricorso ai crediti internazionali nel computo delle emissioni – parte della proposta di Bruxelles – il ministro lo ha definito “un’opportunità per cooperare in un contesto globale, attraendo investimenti anche in settori che hanno difficoltà a svilupparsi”. Condivise invece con altri Stati membri le preoccupazioni sulle compensazioni di emissioni attraverso l’uso del suolo. “Bloccare la piena contabilizzazione degli assorbimenti è un approccio che non ha senso né sul piano politico né su quello scientifico” ha detto. Lo stesso per l’Italia “vale per le rimozioni tecnologiche” che non dovrebbero essere limitate ai soli settori “hard to abate”. “Ogni Stato – ha aggiunto – deve poter scegliere liberamente come impiegare tutti gli strumenti a sua disposizione”. In serata, in un videomessaggio alla Conferenza nazionale delle Camere di commercio, è poi tornato sul tema: “Non facciamo passi indietro rispetto agli impegni assunti a livello internazionale sul clima. Pensiamo però che la strada migliore sia quella di proseguirli tutelando tutte le nostre specificità, le nostre caratteristiche, la nostra storia e con un’analisi completa”.

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