Tax credit nel cinema italiano: l’intervento dello Stato nella cultura va riformato radicalmente

  • Postato il 12 settembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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La rassegna stampa e web di venerdì 12 settembre 2025 è impressionante, per quanto riguarda il settore culturale. Un settore sotto nuovo choc, a causa della notizia che la Procura di Roma sta lavorando ad una decina di indagini sulla (mala) gestione del sostegno pubblico al cinema e all’audiovisivo, con particolare attenzione al sempre più contestato e opaco strumento del credito di imposta e a quasi 200 film “sospetti”.

In verità, la notizia, in sé, non è nuova, perché da almeno un anno era noto che erano state presentate denunce ed esposti alla magistratura, sia da parte di un componente del Consiglio Superiore del Cinema e Audiovisivo (il massimo organo di consulenza del Ministero della Cultura, per quanto inascoltato dal Ministro Alessandro Giuli di FdI e soprattutto dalla Sottosegretaria leghista Lucia Borgonzoni), ovvero l’avvocato Michele Lo Foco, e dal parlamentare della Repubblica certamente più attivo e pugnace in materia di culturale, qual è il deputato Gaetano Amato del M5s.

Si sapeva quindi da tempo che la Procura di Roma si stesse interessando alla delicata materia, e ciò era stato confermato anche dal clamore connesso al cosiddetto “affaire Kaufmann”, il sedicente regista e produttore (Francis Charles Kaufmann) salito tristemente alle cronache perché accusato di omicidio e figlicidio in quel della romana Villa Pamphilj.

Quel che stupisce è che i filoni di indagine siano addirittura una decina. I pm all’opera sono Giuseppe Cascini, Stefano Pesci, Giuseppe Di Falco, Eliana Dolce. Su più fronti. Quel che stupisce è che improvvisamente anche testate “mainstream” non proprio sensibili al giornalismo di indagine (a partire dal quotidiano La Stampa) dedichino attenzione alle vicende del settore. Ho in effetti tante volte segnalato come le tematiche della “politica culturale” interessino poco – purtroppo – i giornali e i media italici, che concentrano invece la propria attenzione sugli aspetti “spettacolari” del cinema, assegnando tanto spazio ai red carpet dei festival e al narcisismo degli attori e delle attrici, piuttosto che ad analisi serie del “dietro le quinte”, ovvero dei meccanismi strutturali della politica e dell’economia del sistema culturale.

E quando l’attenzione viene dedicata alla “politica culturale”, finisce spesso per prevalere la morbosità scandalistica: nell’autunno del 2024, per esempio, c’è stata un’altra bufera mediatica, cavalcata dal sistema televisivo “mainstream” in prima serata, con trasmissioni polemiche su Mediaset e su La7, da Quarta Repubblica condotto da Nicola Porro a PiazzaPulita di Corrado Formigli, entrambi partendo dalla notizia che 130 film cinematografici sotto inchiesta erano stati segnalati alla Guardia di Finanza dalla Direzione Cinema e Audiovisivo, diretta (fino ai primi di luglio di quest’anno) dal Dg Nicola Borrelli.

L’attenzione era concentrata, da parte di Porro e della sua redazione, sugli sprechi delle finanze pubbliche, attribuiti come di consueto agli “amichetti di sinistra”, mentre Formigli ha cercato di fornire un’analisi di scenario meno partigiana e più equilibrata, dedicando attenzione agli oscuri intrecci e ai sempre latenti conflitti di interessi tra la politica e alcuni esponenti dell’imprenditoria: dalla ad di Cinecittà Manuela Cacciamani (già titolare della società di produzione OneMore Pictures e consulente della Sottosegretaria Borgonzoni e molto vicina alla sorella della premier, Arianna Meloni) alla allora Presidente di Cinecittà e al contempo Presidente dell’associazione dei produttori televisivi Apa, Chiara Sbarigia (costretta qualche mese fa alle dimissioni da Via Tuscolana dal Ministro Giuli)…

Ovviamente il centrodestra ha cercato di cavalcare l’onda polemicamente, imputando ad artisti, intellettuali e produttori “di sinistra” la responsabilità del malaffare, e presentando invece il governo guidato da Giorgia Meloni come l’artefice di una presunta “operazione pulizia” in un settore storicamente carente di trasparenza e meritocrazia.

Io fui tra i primi a segnalare e denunciare (da anni, sulle colonne di Key4biz e di Articolo21) alcune… anomalie, tra le quali la cooptazione da parte dell’allora Ministro Gennaro Sangiuliano (FdI) di un’imprenditrice come Manuela Cacciamani (a suo tempo titolare della One More Pictures, una delle imprese attualmente sotto la lente della Procura di Roma) alla guida di una società pubblica come Cinecittà: una produttrice che pure aveva prestato consulenze alla stessa Cinecittà (per la controversa campagna promozionale “Cinema Revolution”, tanto cara alla Sottosegretaria Borgonzoni), prima di essere chiamata alla guida della stessa…

E che dire ancora, sempre in materia di “anomalie”, della regina delle pr Tiziana Rocca, titolare della Agnus Dei (nella veste sia di società sia di associazione culturale), che ha visto molto arricchire il proprio capitale relazionale – anche lei nei primi due anni del governo Meloni – forte anche lei come Cacciamani di un rapporto privilegiato con la sorella della premier? E che dire del di lei marito, il regista Giulio Base, autore di film che non hanno mai registrato incassi significativi, ma sono sempre stati ben sostenuti dalla mano pubblica? E della nomina di Base alla guida del Torino Film Festival? Eccetera, eccetera, eccetera.

Oggi la Sottosegretaria Borgonzoni ha dichiarato: “Credo totalmente nella trasparenza dell’operato dell’ad di Cinecittà Manuela Cacciamani quando era all’interno della società che poi ha dato via”. Nell’agosto 2024, fui denunciato per diffamazione dall’attuale socio di maggioranza della One More Pictures, Gennaro Coppola, il quale nel marzo 2025 ha rimesso la querela.

Prevale comunque confusione nel comprendere in quale direzione stiano andando le indagini della magistratura. Esistono certamente alcune decine di imprenditori che hanno fatto carte false per approfittare della generosità dello Stato (ovvero delle maglie larghe della Legge Franceschini del 2016), ma la maggioranza degli operatori è seria e onesta, e quindi – una volta ancora – si deve evitare di buttare il bambino (700 milioni di euro l’anno di contributi pubblici al settore) insieme all’acqua sporca (alcune decine di milioni di euro l’anno di malversazioni). L’intervento dello Stato a favore della cultura va riformato radicalmente, ma purtroppo nessuna delle proposte di legge presentate e in gestazione affronta il toro per le corna: il malaffare alligna laddove c’è deficit di trasparenza, di analisi, di valutazione.

In queste settimane, un maestro del giornalismo investigativo italiano qual è Sigfrido Ranucci ha sguinzagliato i suoi redattori: in particolare il pugnace Luca Bertazzoni sta lavorando ad una inchiesta di Report (Rai3) sul settore cine-audiovisivo che si annuncia esplosiva. Nel mirino non soltanto le carenze del sistema pubblico di sostegno (il deficit di tecnicalità gestionale), ma anche il groviglio di interessi – tra pubblico e privato – degli attuali poteri forti del settore (tra amichettismo di destra e clientelismo diffuso). Si attende un contributo prezioso per scoperchiare il vaso di Pandora dell’audiovisivo italiano.

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Il Fatto Quotidiano

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