“Test del Dna per scoprire se quelle ossa sono di Emanuela Orlandi”: il ritrovamento e la connessione “sotterranea” con le dichiarazioni di Sabrina Minardi

  • Postato il 25 luglio 2025
  • Crime
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Quelle ossa umane trovate, pochi giorni fa, in un padiglione dell’ospedale San Camillo di Roma hanno subito condotto al mistero più oscuro del nostro Paese, la scomparsa di Emanuela Orlandi, la cittadina vaticana rapita il 22 giugno del 1983. “Aspettiamo la comparazione genetica con il Dna di Emanuela, in possesso della Procura – ha dichiarato a il Giornale Laura Sgrò, avvocato di Pietro Orlandi, fratello di Emanuela – Certo è un’ipotesi suggestiva, alla luce proprio della testimonianza della Minardi confermata in parte dalle indagini svolte dalla squadra mobile”. A cosa si riferisce il legale di Pietro Orlandi?

La versione della Minardi

Non è la prima volta che un ritrovamento di ossa fa pensare alla ragazzina scomparsa a Roma nel 1983. Ma stavolta c’è una connessione “sotterranea” che dà da pensare più che in altre passate occasioni. Circa 15 anni fa, mentre era in corso la seconda inchiesta sul caso, ci furono delle dichiarazioni che squarciarono il manto di impenetrabilità che da sempre avvolge questa vicenda ancora buia e incomprensibile. L’inchiesta era quella, poi archiviata, del magistrato Giancarlo Capaldo che scoprì degli intrecci del caso della Vatican Girl con alcuni membri della criminalità romana. Alcuni di loro furono anche indagati per concorso in sequestro della 15enne vaticana e tra loro c’era Sabrina Minardi. La donna, scomparsa pochi mesi fa, era legata sentimentalmente a Enrico de Pedis, trucidato in un agguato in via del Pellegrino a Roma nel ’90. Più volte “Renatino” è stato tirato in ballo dalla sua amante che rese delle dichiarazioni abbastanza clamorose ai magistrati romani. Fu proprio lei, in realtà, a contribuire e aiutare la Procura a riaprire il caso nel 2008. Minardi affermò sia ai magistrati che alla giornalista di “Chi l’ha visto” Raffaella Notariale che “fu De Pedis a rapire Emanuela Orlandi” dichiarando inoltre di aver avuto lei stessa un ruolo nel nascondere la ragazza. Secondo la Minardi, la ragazza sarebbe stata trasferita più volte nei giorni immediatamente dopo il rapimento: prima sarebbe stata tenuta prigioniera per quindici giorni in una casa della famiglia di Minardi stessa a Torvaianica e successivamente sarebbe stata trasferita di nuovo a Roma “in un’abitazione di proprietà di Daniela Mobili in via Antonio Pignatelli 13, a Monteverde nuovo, nel Gianicolense che aveva un sotterraneo immenso che arrivava quasi fino all’Ospedale San Camillo” (fonte: Wikipedia) e questo ci porta dritti al rinvenimento di ossa all’interno dell’ospedale romano.

L’esistenza di questo sotterraneo è stata accertata dagli inquirenti il 26 giugno 2008, ma la polizia scientifica non trovò alcuna traccia di Emanuela Orlandi. In quegli anni la Minardi parlò anche di un altro membro della Banda della Magliana che, rintracciato dalle forze dell’ordine, ammise che il rifugio in via Pignatelli fosse sì un nascondiglio, “ma non per i sequestrati, bensì per i ricercati. Era il rifugio di Renatino”. (Fonte: La Repubblica del 4 luglio 2008). Le ossa umane sono state rinvenute durante i lavori di ristrutturazione del Padiglione Monaldi, vecchio reparto di patologia clinica neuromuscolare, chiuso intorno alla fine degli anni ’80. “Il padiglione fu in parte ristrutturato nel 1999 ma poi fu dichiarato definitivamente pericolante, lasciandolo in mano ai senza tetto. E se non era ancora abbandonato nel periodo della scomparsa di Emanuela, non è escluso che il corpo della ragazzina sia stato gettato nel vano ascensore nonostante il reparto fosse operativo”, scrive oggi Il Giornale. Toccherà adesso agli anatomopatologi forensi fare tutti gli esami, a cominciare dal sesso e dall’età, per iniziare a capire a chi possano appartenere quelle ossa.

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Il Fatto Quotidiano

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