“È stata una botta. E ora tutto torna”: parla Natalino Mele, l’ex bambino sopravvissuto al Mostro di Firenze
- Postato il 24 luglio 2025
- Crime
- Di Il Fatto Quotidiano
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Una vita intera passata a convivere con il fantasma di una notte di cui non ricorda nulla, e con un’identità costruita su una bugia. Natalino Mele, oggi 64 anni, il bambino che a soli sei anni, nel 1968, fu l’unico sopravvissuto al primo duplice omicidio attribuito al “Mostro di Firenze“, è di nuovo sotto choc. Una recente scoperta ha riscritto la sua intera esistenza: il suo padre biologico non è Stefano Mele, l’uomo condannato per quel delitto e che lui ha sempre creduto suo padre, ma Giovanni Vinci, uno dei fratelli del cosiddetto “clan dei sardi”.
“Non so neanche se è morto o se è vivo. Per me sapere di essere suo figlio è stata una botta“, ha confessato Natalino in una toccante intervista al quotidiano La Nazione. Una rivelazione che lo costringe, a 64 anni, a rimettere in discussione tutto, e che proietta nuove, inquietanti ombre sulla vicenda del Mostro. Aveva sei anni la notte del 21 agosto 1968, quando sua madre Barbara Locci e l’amante Antonio Lo Bianco furono uccisi a colpi di pistola in auto, a Signa. Lui fu ritrovato la mattina seguente, vagante lungo una strada sterrata. Pensava da sempre che l’assassino fosse suo padre, Stefano Mele, condannato per quel duplice omicidio. Ma ora ha scoperto che Stefano non era neppure suo padre biologico. “Non ho mai avuto pace per tutta la mia vita”, racconta Natalino, oggi residente in una casa popolare, “travolto dai tanti misteri e dalle nuove verità che periodicamente emergono”. La sua è una storia unica e tragica: unico testimone oculare di un massacro, ma senza alcun ricordo di quella notte. “Nulla, nulla. Altrimenti lo avrei già detto”, ribadisce con forza.
Un passato che non passa, tanto da averlo tenuto lontano persino dai legami più naturali: “I sardi non li conosco”, dice, riferendosi alla sua nuova famiglia biologica. E ammette di “non essere neppure mai andato a trovare la madre morta al cimitero“. L’unico contatto con quel passato è stato un incontro con Stefano Mele, avvenuto dopo che l’uomo aveva scontato i 16 anni di carcere per l’omicidio della moglie e del suo amante.
La scoperta della sua vera paternità riaccende inevitabilmente i riflettori sulla “pista sarda”, da sempre una delle più complesse e controverse dell’intera inchiesta, più volte archiviata e riaperta. È significativo che il suo padre biologico, Giovanni Vinci, non sia mai stato indagato per i delitti del Mostro, a differenza dei fratelli Salvatore e Francesco. Ma chi era allora il Mostro, se Natalino non ha mai avuto un’idea chiara? “Se lo sapevo lo avrei fatto fuori io...”, risponde con rabbia impotente. Su Pietro Pacciani, il contadino di Mercatale condannato e poi assolto post-mortem, ha le idee chiare: “Pacciani può essere stato quello che è stato, per quello che ha fatto, ma non il Mostro“. La sua convinzione, maturata in una vita di riflessioni solitarie, è un’altra: “Lì secondo me c’era qualcuno in alto, l’ho sempre pensato. Perché non è possibile, né una traccia, mai visto da nessuno. Era uno che si sapeva muovere, che conosceva le zone. Il delitto perfetto non esiste ma in questo caso ne ha fatti otto”.
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