Ucraina, alcuni bambini non hanno conosciuto altro che la guerra. Parliamone
- Postato il 28 maggio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Invece di fermarsi, la guerra in Ucraina sta aumentando di intensità. Ogni attacco ferisce e uccide bambini innocenti. Ma cosa sta accadendo ai bambini ucraini dopo oltre tre anni di guerra?
Un bambino nato in Ucraina nel febbraio del 2022 oggi ha poco più di tre anni. Non ha mai vissuto un giorno senza sirene, senza rumore di droni, senza occhi adulti segnati dall’ansia. Questa è la sua normalità. La sua storia inizia dentro una guerra, e ogni fase del suo sviluppo – dalla regolazione emotiva all’apprendimento – si costruisce su un terreno minato.
Come psicologo clinico, da anni lavoro per sostenere l’elaborazione del trauma in zone di conflitto. So cosa vuol dire sedersi accanto a un bambino che ha perso tutto, anche le parole per dirlo. Per questo, oggi dobbiamo chiederci: cosa sta accadendo allo sviluppo emotivo e cognitivo dei bambini ucraini? E cosa possiamo fare perché non crescano solo nella paura, ma anche nella possibilità?
0–3 anni: i figli del rumore delle bombe
La fascia 0–3 anni è la più invisibile. Eppure è la più vulnerabile. Nei primi anni di vita, il cervello costruisce le basi della fiducia, dell’attaccamento, della capacità di autoregolarsi. Questi bambini imparano a camminare nei bunker. A parlare mentre la madre li tiene stretti con lo sguardo rivolto al cielo.
I dati ci dicono che in contesti di guerra l’attivazione cronica del sistema dello stress (cortisolo) altera la maturazione delle aree cerebrali preposte alla memoria, all’attenzione, alla regolazione emotiva. Un bambino che cresce in un ambiente imprevedibile non impara solo a sopravvivere: impara che il mondo è pericoloso sempre. E questo si iscrive nei circuiti neurali.
4–6 anni: il gioco interrotto dalla guerra
In questa età, il gioco simbolico è lo strumento principale di elaborazione emotiva. Ma il gioco, in guerra, si sporca. Si fa mimetico. Molti bambini disegnano armi, soldati, sangue. Altri rifiutano di giocare.
Chi lavora nei centri di riabilitazione per bambini vittime di guerra, come fa Fondazione Soleterre, lo sa: quando un bambino smette di giocare, è il trauma che prende parola al suo posto. I bambini iniziano a costruire una “teoria della mente” – la capacità di immaginare cosa sente e pensa l’altro – proprio attraverso il gioco. Ma se l’altro è un nemico, un soldato, una perdita? Allora si genera confusione, evitamento, chiusura. E anche le emozioni più naturali – paura, rabbia, colpa – diventano troppo grandi da contenere.
7–10 anni: la scuola sospesa, la memoria del dolore
Questa è l’età in cui la mente si apre alla logica, alla socialità, all’apprendimento riflessivo. Ma in Ucraina, la scuola è diventata quasi solo online, a singhiozzo, spesso interrotta dagli allarmi. La casa non è più rifugio, ma bersaglio. Quasi due milioni di bambini ucraini abbiano hanno visto interrotta la loro educazione regolare. Questo ha un impatto diretto sull’autostima, sulle abilità cognitive, e su ciò che chiamiamo autoefficacia: la sensazione che i propri sforzi servano a qualcosa.
Il trauma scolastico, un tempo sottovalutato, oggi è una ferita aperta. Molti bambini riportano sintomi da stress post-traumatico, disturbi del sonno, regressione, crisi d’ansia. Ma anche un forte senso di ingiustizia, che – se non elaborato – può radicalizzarsi in visione ostile del mondo.
11–18 anni: crescere tra rabbia e impotenza. La guerra nella guerra.
Gli adolescenti ucraini stanno attraversando la loro formazione identitaria in un contesto dove l’incertezza è permanente. La guerra ruba loro il futuro: sogni, percorsi, perfino amori. Il 70% degli adolescenti rifugiati dalla guerra ucraina mostra segni clinici di depressione o ansia generalizzata. Per molti di loro, la rabbia diventa difesa, ma anche barriera contro l’elaborazione. E la sfiducia negli adulti – incapaci di proteggerli – cresce.
Serve un nuovo patto educativo: una generazione nata nella guerra ha bisogno di adulti che sappiano accogliere le paure silenziose che si annidano nelle stanze che nessuno ha mai osato aprire. Ma gli stessi adulti hanno traumi da elaborare. Questo rende molto complicato il progredire psicologico senza un aiuto esterno.
Cosa possiamo fare: non lasciarli soli
La guerra devasta il presente, ma può essere curata nel futuro. Attraverso progetti di sostegno psicologico continuativo, spazi sicuri, scuole che siano anche luoghi di cura. Io stesso ho contribuito ad avviare interventi clinici in zone di guerra, per aiutare bambini e adolescenti a raccontare, disegnare, gridare quello che hanno vissuto. E poi, piano, rimettere in ordine i pezzi.
Non possiamo restituire ai bambini il tempo che hanno perso. Ma possiamo dare senso alle ferite. La cura inizia sempre dal riconoscere. E dal restare accanto. Si aiuta con Soleterre qui.
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