Un anno di rottura tra Colombia e Israele: ora la necessità rischia di prevalere sui diritti umani

  • Postato il 10 maggio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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È passato un anno da quando il presidente della Colombia Gustavo Petro, il primo maggio del 2024, tenne un discorso accorato in Plaza Bolivár a Bogotà: “Vi annuncio che oggi il governo del cambio (l’amministrazione di Petro, capo di stato della Colombia dal 2022, nda) rompe le relazioni diplomatiche con il governo di Israele, per avere a capo un genocida. Non possiamo accettare il ritorno dello sterminio di massa, della distruzione di un popolo, così come fu perpetrato dai nazisti nei confronti degli ebrei. Stiamo assistendo passivamente all’annientamento del popolo palestinese attraverso i bombardamenti, il blocco degli aiuti umanitari, l’assassinio indiscriminato di donne, bambini, medici e giornalisti, nonché i decessi per fame e malattie. Se muore la Palestina, muore l’umanità!” concluse il presidente.

Questa decisione fu la diretta conseguenza del richiamo inascoltato di Petro all’ambasciatore israeliano Gali Dagan a Bogotà, dopo le stragi perpetrate dall’esercito israeliano nella Striscia di Gaza. Anniversario macabro, considerando che segue la rottura della tregua il 18 marzo 2025 decisa da Netanyahu: già il giorno dopo la ripresa delle ostilità, 400 civili palestinesi furono massacrati.

Finora sono oltre 2600 le vittime successive alla fine della tregua, con un bilancio totale stimato intorno a 53.000 uccisi, senza contare i feriti che non ce l’hanno fatta per mancanza di cure adeguate, e i primi bambini morti di fame a causa del blocco degli aiuti umanitari protratto da oltre due mesi.

Non solo Colombia

Genocidio: questa parola interdetta a governi, stampa e media in genere. Un tabù che il governo colombiano ha infranto, allineandosi alla denuncia che il corrispondente sudafricano portò davanti alla Corte Penale Internazionale con la successiva condanna del tribunale e il mandato d’arresto comminato nei confronti del premier Netanyahu e del ministro della Difesa Gallant. Oltre a Sudafrica e Colombia, ruppero con Israele anche il Cile di Gabriel Boric, la Bolivia di Luis Arce e il Belize di Johnny Briceño, così come avevano fatto 15 anni fa Honduras, Nicaragua e Venezuela. Cuba fu la prima, già nel 1973.

Il mandato di cattura della Cpi è praticamente ignorato dagli Stati europei, tra cui Polonia e Ungheria che hanno permesso a Netanyahu di visitare i due paesi – con l’abbraccio plateale di Orbán al premier – e la garanzia di immunità da parte di Tajani per l’Italia. Giorgia Meloni lo aveva già incontrato il 10 marzo 2023.

La rottura dei rapporti diplomatici tra Colombia e Israele interruppe una ventennale alleanza commerciale e politica tra i due paesi, iniziata con Alvaro Uribe – presidente dal 2000 al 2008, affiliato agli ambienti di estrema destra e storicamente legato al Partito Repubblicano Usa – e culminata nel Free Trade Agreement del 2020, un trattato commerciale importante che ha favorito un incremento delle esportazioni colombiane, sfiorando il tasso annuo del 50%. Malgrado la pandemia in corso, i prodotti più redditizi furono carbone e caffè, con un fatturato salito da 43,8 milioni a 306 milioni di dollari nel 2022 durante il mandato di Iván Duque (2018-2022).

Nell’anno che coincise con la fine del governo Duque – uno dei presidenti di destra più duri che si macchiò di stragi nei confronti degli oppositori – crebbero in maniera vistosa anche le importazioni da Israele, con un incremento dell’85%, passando da 76 a 140 milioni di dollari.

A sinistra contro Israele

Se le quattro nazioni del continente americano che dal 2023 al 2024 hanno rotto le relazioni diplomatiche con Israele – Belize Bolivia Cile e Colombia – condividono la leadership di una sinistra che cerca (non senza difficoltà) di coniugare crescita economica con salvaguardia del welfare in un contesto democratico, tuttavia tra costoro sembra proprio la Colombia quella che potrebbe soffrire di più la scelta etica di Petro, rinunciando ai vantaggi economici del rapporto pur con un governo estremista rappresentato da Benjamin Netanyahu e da fanatici sionisti come Ben-Gvir, ministro della Sicurezza Nazionale, primo fautore della pulizia etnica palestinese.

La Colombia dipende ancora da Stati Uniti e Israele per le forniture di armi e aerei da combattimento. I caccia israeliani Kfir che compongono la Fac (Forza Aerospaziale Colombiana) necessitano di parti di ricambio prodotte dalla Israeli Aircraft Industries. Polizia e militari sono armati con fucili Galil fabbricati in patria ma con brevetto israeliano che può essere ritirato.

La recrudescenza dei gruppi armati come Eln (Ejército de Liberación Nacional) autori delle ultime stragi del 2025 – a gennaio, marzo e aprile – e la presenza a Bogotà della gang venezuelana Tren de Aragua che continua a spargere terrore nella capitale, costringono il governo a cercare un fornitore alternativo per contrastare una criminalità armata fino ai denti, dal momento che il nuovo percorso politico ha compromesso anche il rapporto con gli Stati Uniti, che consideravano la Colombia come nazione subordinata ai loro interessi. Occorre anche tener da conto che Usaid – dopo il taglio dei fondi da parte di Trump – non potrà più supportare le Ong colombiane come in passato.
Adesso il welfare locale è affidato soprattutto ai municipi.

Se a Medellin la Fondazione Epm è finanziata dalla società pubblica che fornisce energia elettrica, acqua e gas allo Stato di Antioquia di cui Medellin è capitale (il 25% dell’energia che consuma la Colombia è fornito da questa impresa statale), in altre città come Cali e la stessa Bogotà il bilancio è decisamente deficitario. Per cui il pragmatismo dettato dalla necessità rischia di prevalere sulla difesa dei diritti umani in Palestina.

(foto © F.Bacchetta)

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