Un miliardo di spesa sanitaria sprecata: perché gli italiani non scelgono il generico
- Postato il 28 giugno 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Quando il brevetto di un farmaco scade lo stesso farmaco può essere prodotto e venduto come “generico”: è esattamente lo stesso principio attivo ma possono cambiare gli eccipienti e il colore o la forma delle capsule o delle pillole. Il prezzo dei farmaci generici è libero ma deve essere almeno il 20% inferiore a quello del farmaco originale. Il Servizio Sanitario Nazionale rimborsa solo il prezzo del farmaco generico a prezzo più basso e l’eventuale differenza rispetto ad una scelta più costosa è a carico del cittadino. Il razionale di fondo di questa norma è semplice: attivare competizione di prezzo per i farmaci il cui brevetto è scaduto, visto che il periodo di monopolio dell’innovatore ha generato abbastanza profitti.
Il medico dovrebbe sempre prescrivere il nome generico, a meno di motivazioni cliniche specifiche (rare), e il farmacista dovrebbe avere disponibili le opzioni generiche. Come ricordato, se il paziente preferisce l’originale deve pagare la differenza, spesso nettamente superiore al 20%. Né i medici né i farmacisti hanno incentivi rilevanti a prescrivere i farmaci originali, eppure gli italiani spendono un miliardo all’anno perché rinunciano all’opzione generica.
Ad un livello superficiale si potrebbe dire: fatti loro. I cittadini hanno la possibilità di spendere meno per lo stesso prodotto e non lo fanno; in fondo è una questione privata. I consumatori si comportano così per tanti altri prodotti il cui valore d’uso è lo stesso ma il prezzo molto diverso. Ad un livello un po’ più profondo questo “spreco” ci deve invece fare riflettere. In Regno Unito la prescrizione dei farmaci generici è all’80%, da noi poco più del 20%. E il cittadino inglese ha mediamente un reddito più alto di quello italiano. Dietro questa ostilità domestica verso i generici c’è qualcosa di specifico della realtà italiana, a partire dalla mancata informazione dei pazienti, al probabile non pieno rispetto delle norme da parte di medici e farmacisti, alla mancanza di politiche di informazione da parte del SSN che chiariscano bene ai pazienti che i farmaci generici hanno gli stessi effetti di quelli originali.
A questo proposito, si pensi che spesso una sola azienda produce sia i farmaci originali che i generici, modificando semplicemente colori e nomi sulle confezioni. Ancora più assurdo è notare che i farmaci sono molto meno diffusi al sud che a nord; ancora, laddove ci sono meno risorse si spreca di più.
Il modesto utilizzo dei generici in Italia è probabilmente un sintomo di una scarsa cultura della salute e dei servizi sanitari. Probabilmente alcuni pazienti pensano che i farmaci originali siano meglio di quelli generici (se li avessimo chiamati equivalenti forse sarebbe stato meglio), nella logica del più si spende più si ha qualità. Ma la qualità dei farmaci non è assicurata dal mercato ma da precise regole sulla loro produzione, distribuzione e conservazione. La responsabilità è anche di farmacisti e medici: non vendono profumi ma prodotti per la salute. E’ quindi loro compito proteggere il paziente anche quando pagante, spiegandogli che effettivamente il generico è uguale all’originale ed è quindi irrazionale spendere di più per lo stesso farmaco. Tra l’altro, c’è anche un elemento paradossale: la spesa sanitaria privata è deducibile dalle imposte per il 19%, al di sopra di una franchigia di circa 129 Euro). In altre parole, circa un quinto della spesa inutile per il mancato utilizzo dei generici è pagata dallo Stato, in termini di mancate entrate. Sic!
Due riflessioni conclusive: una specifica e una generale. Quella specifica è quasi ovvia: i farmaci dovrebbero avere un solo nome, quelle del principio attivo. Questo semplificherebbe la vita a tutti, in particolare ai pazienti che rimangono spesso spiazzati dal dovere sapere che a un nome di fantasia è associato anche un nome “scientifico” che sarà poi quello del generico a brevetto scaduto. Soprattutto per coloro che prendono diverse terapie e sono anziani sapere che il farmaco ha un solo nome riduce la complessità cognitiva e, probabilmente, favorisce l’aderenza terapeutica.
L’altra riflessione riguarda l’espansione della medicina a pagamento: è un calderone che riguarda servizi nei fatti essenziali come l’odontoiatria, alcune terapie e i servizi con lunghe liste d’attesa nel pubblico. Ma nel calderone ci sono prestazioni che non sono coperte dal pubblico perché non hanno evidenze di benefici netti o addirittura potrebbero nuocere al paziente. Tecnicamente viene chiamata inappropriatezza ed è una cosa seria. E’ fondamentale che se ne parli di più, nel pubblico ma anche nel privato dove i pazienti sono maggiormente esposti a incentivi economici da parte degli operatori.
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