Una mostra alle porte di Parigi crea un dialogo tra l’arte contemporanea e la cultura sufi  

“Con questa mostra vogliamo offrire un’esperienza artistica sensoriale e immersiva per esplorare i valori del sufismo e trasmetterli attraverso una prospettiva artistica”. Così Claire Bay, direttrice del MACS MTO, ha introdotto Resonant: Bodies, Songs, and Stringsseconda mostra del giovane museo dell’arte e cultura sufi alle porte di Parigi. La ricca collezione è animata da un continuo dialogo con l’arte contemporanea, sostenuta con mostre, commissioni e un fitto programma di workshop ed eventi collaterali. 

La mission del Museo MACS MTO alle porte di Parigi

Come emerge anche da Resonant”, ha continuato la direttrice, “la mission del MACS MTO è far conoscere l’arte e la cultura sufi per trasmetterne la spiritualità condivisibile al di là del credo di appartenenza. Per questo, la sfida che abbiamo abbracciato è di promuoverli attraverso l’arte contemporanea, affidandoci a curatori e artisti non direttamente legati al contesto”. Un modus operandi che, da una parte conferma l’attualità e la vitalità del messaggio sufi, veicolato anche da artisti che lo percepiscono solo attraverso le opere in collezione; dall’altra, ribadisce l’universalità dell’arte come linguaggio, in grado di trasmettere contenuti profondi attraverso modalità irrazionali che toccano i sensi e le percezioni. 

Musée d'Art et de Culture Soufis MACS - MTO CHATOUX © Frédéric POLETTI
Musée d’Art et de Culture Soufis MACS – MTO CHATOUX © Frédéric POLETTI

Le curatrici della mostra Resonant al Museo della Cultura Sufi in Francia

Le curatrici, Elena Sorokina Simona Dvorák, hanno spiegato che la mostra è nata da una riflessione sul concetto di risonanza, a partire dal quale, contravvenendo agli standard accademici, si sono lasciate guidare dall’intuito, selezionando 14 artisti capaci di entrare in contatto con la dimensione spirituale dell’arte e di instaurare un dialogo con le opere del museo. “Sulla base dell’elegante edificio di Chatou” hanno sottolineato “abbiamo strutturato l’esposizione su tre livelli, concettuali oltre che fisici. Per cui, se tutto il percorso è introdotto da un antico setar, strumento musicale, simbolo per eccellenza della risonanza, ciascun piano ne approfondisce un aspetto. Il primo piano è dedicato al concetto di trasmissione; il secondo riflette sul tema delle connessioni cosmiche; mentre il terzo ruota intorno alle proprietà curative del suono”.

“Trasmissioni di conoscenza”: la prima sezione di “Resonant” al Museo MCAS MTO

Il primo piano, con la sezione Transmissions of Knowledge, focalizzato sulle modalità di trasmissione del sapere, è aperto simbolicamente da una preziosa edizione del Corano volume tanto rappresentativo da comunicare indipendentemente dalla lettura del testo; così come le opere d’arte che, a prescindere dalla loro spiegazione razionale, sono portavoce di un sapere profondo che si trasmette attraverso i sensi e la sensibilità. 

Musée d'Art et de Culture Soufis MACS - MTO CHATOUX © Frédéric POLETTI
Musée d’Art et de Culture Soufis MACS – MTO CHATOUX © Frédéric POLETTI

Gli artisti di Resonant al primo piano del Museo della cultura Sufi

Yoshimi Futamura (Nagoya, 1959), dialoga con la collezione attraverso opere di creta, materia vivente, che riprendono la forma del Coco del Mar, seme più grande del mondo, simbolo nella cultura sufi di apertura e recettività. Charwei Tsai (Taipei, 1980), presenta una potente installazione in cui intreccia la tradizione della poesia sufi, con l’antico mestiere della tessitura. I versi della poetessa Rābi’a al-‘Adawiyya, che nell’VIII Secolo rivendicava valori attualissimi come l’uguaglianza e la parità, appaiono scritti in oro su tappeti fluttuanti, che per la forma circolare rimandano allo scorrere del tempo, accostando il sacro al quotidiano. Sul potere dell’irrazionale come mezzo di trasmissione della conoscenza sono anche le opere di Sara Ouhaddou (Francia, 1986) che, ispirandosi alla silsila, la sacra catena di trasmissione spirituale tra le generazioni di maestri e discepoli sufi – di cui il museo offre un pregevole esempio – crea un codice di scrittura astratta che, pur ricordando la calligrafia, in realtà non scrive nulla. E, veicolando contenuti profondi attraverso il suo alfabeto di segni, l’artista dimostra che la conoscenza non deriva necessariamente da processi razionali ma anche irrazionali e soggettivi. Sui muri le opere di Meris Angioletti (Bergamo, 1977), attingendo a una pluralità di fonti e materiali, tra cui il rame, diventano un mezzo di trasmissione e trasformazione. Paula Valero Comín (Valenzia, 1976), in mostra con disegni e leggere installazioni, lavora sull’idea di intreccio, evidenziandone resistenza e vulnerabilità. L’interdipendenza delle forme, oltre a evocare la natura, è un omaggio alle reti relazionali proprie dell’etica sufi.

Gli artisti al secondo piano del MCAS MTO parlano delle interconnessioni universali

La sezione Resonant and Sensing bodies, mette in luce il reciproco risuonare dei corpi nel cosmo, suggerendo l’interconnessione di tutte le entità. Il suono, con la complicità delle suggestive opere, assurge a vibrazione cosmica che coinvolge i visitatori inducendoli ad uno stato meditativo. Un messaggio in linea con l’insegnamento sufi, per cui il corpo non è mai passivo o isolato ma è un viatico verso altre dimensioni. In questo spazio gli abiti scultura di Rada Akbar (Kabul, 1988) fondono passato e presente, partendo dall’antico poema Haft Paykar per riflettere sul ruolo delle donne nella trasmissione della conoscenza. Akbar mette in risalto la resilienza delle donne afghane che hanno preservato poesia, musica e memoria, rivendicandone i diritti di parola e libertà. Célia Gondol (Grenoble, 1985) presenta la trascrizione visiva di una performance canora su un disco di acciaio inossidabile. Attingendo all’astrofisica, l’artista ha fuso la dimensione scientifica con quella spirituale, riecheggiando l’idea sufi dell’esperienza sensoriale come specchio di una realtà più profonda e unificata. JJJJJerome Ellis (Caraibi, 1989) che ha fatto della sua balbuzie un punto di forza, lavora con musica e parola. In questa sezione ha sonorizzato, in collaborazione con il poeta e attivista Magdi Masaraa, le sculture antiche collocate in una veranda che, aperta direttamente sul giardino, invita al raccoglimento e alla contemplazione. 

Musée d'Art et de Culture Soufis MACS - MTO CHATOUX © Frédéric POLETTI
Musée d’Art et de Culture Soufis MACS – MTO CHATOUX © Frédéric POLETTI

Al terzo piano del Museo Resonant esplora le proprietà curative del suono

Con JJJJJerome Ellis si sale alla sezione: Sounds ad healing practice, dedicata al suono come pratica curativa. Qui l’artista lascia la sua impronta sui muri, trasformando delle partiture musicali in sinuose composizioni alfanumeriche, in cui le difficoltà del linguaggio sospendono lo scorrere convenzionale del tempo, aprendo inaspettati canali di comunicazione. In sintonia con il sufismo, l’artista invita a mettere da parte l’ego e a rallentare per aprirsi ad un ascolto che vada oltre il suono percepito. Nevin Aladağ (Turchia, 1972), evocando i parallelismi tra corpo umano e strumenti musicali cari alla cultura sufi, presenta due opere focalizzate sul suono come strumento di connessione e cura. Lavori ibridi, che, per il loro essere sculture e strumenti musicali, sfuggono a una definizione, diventando un mezzo per suturare storie fratturate e forgiare ponti sonori tra geografie distanti. Le sculture di Guadalupe Maravilla (El Salvador, 1976), in roccia vulcanica, evocano talismani e parlano di migrazioni, traumi e guarigioni. Le forme arcaiche, per la loro connessione con le eruzioni, distruttive ma rigeneranti, richiamano la pratica sufi della tazkiyah, un processo di purificazione e rinascita interiore. Katy’taya Catitu Tayassu (Francia) è un’artista e terapeuta animista che in mostra presenta una trama sonora, il cui suono è dato da una fusione tra le vibrazioni corporee e quelle dei tamburi, dando adito ad un paesaggio artistico che può avere una valenza terapeutica. Marie-Claire Messouma Manlanbien (Francia, 1990) tesse una vasta rete di relazioni che trascendendo identità e geografia, si traduce in un dittico composto da materiali diversi, rivelando la connessione profonda tra corpo e universo. Infine, l’opera site specific di Brook Andrew, (Sydney, 1970) attualizza l’eredità aborigena, in una vibrazione di colori che, diventando un tutt’uno con lo spazio genera degli effetti ottici che, facendosi ritmo, trasmettono l’energia palpitante del luogo. 

Ludovica Palmieri

Chateou, Parigi // Fino al 4 gennaio 2026
Resonant: Bodies, Songs, and Strings
MUSÉE D’ART ET DE CULTURE SOUFI MTO
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Autore
Artribune

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