Una rivalutazione dell’oro sarebbe uno choc, oltre che un messaggio politico chiaro

  • Postato il 27 luglio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Nel cuore dell’economia iper-finanziarizzata, dove il denaro nasce dal nulla attraverso la creazione di credito e i bilanci delle banche centrali si gonfiano senza limiti, l’oro resta l’unico bene che non può essere stampato. Da secoli, il metallo giallo incarna fiducia e stabilità: una forma di ricchezza che resiste alle guerre, alle crisi e alle manipolazioni monetarie.

Oggi mentre i mercati globali oscillano tra bolle speculative e debiti insostenibili, sempre più analisti ipotizzano uno scenario radicale: la rivalutazione ufficiale dell’oro, anche fino a 10.000 dollari l’oncia, un livello capace di riscrivere i rapporti di forza tra Stati, banche centrali e cittadini. Quanto attendibili sono queste previsioni?

La storia dell’oro è segnata da rivalutazioni drammatiche, spesso legate a crisi economiche profonde. Tre episodi storici negli Stati Uniti mostrano come i governi abbiano usato l’oro per ricostruire la fiducia nel sistema:

Questi precedenti provano che rivalutare l’oro non è un tabù, ma una leva di politica economica usata nei momenti di crisi sistemica.

Gli Stati Uniti detengono circa 261,5 milioni di once di oro. Valutate a 42,22 dollari l’oncia (oggi l’oro vale più di 3.000 dollari l’oncia!), il loro valore contabile è intorno agli 11 miliardi di dollari. Una cifra che, a fronte di un debito federale di 35.000 miliardi di dollari, appare irrilevante.

Se l’oro fosse rivalutato in linea con il valore di mercato, questa proporzione ed il bilancio del Tesoro cambierebbe radicalmente:

A 10.000 dollari l’oncia, le riserve auree diventerebbero uno degli asset più importanti del bilancio Usa, rafforzando la credibilità del Tesoro e riducendo il peso nominale del debito. Ma questa operazione comporta dei cambiamenti radicali. E vediamoli.

Oggi il mercato dell’oro è dominato da derivati e contratti futures: una piramide di promesse di consegna da parte delle banche ed istituzioni finanziarie che supera di decine di volte l’oro fisico disponibile. Si stima che per ogni oncia reale esistano 60-80 once “di carta”. Che succederebbe a tutta questa carta se il prezzo dell’oro imposto dal tesoro passasse da 42,22 dollari a 10.000 dollari?

– I possessori di contratti derivati pretenderebbero consegne fisiche;
– Le banche, incapaci di coprire tali richieste, sarebbero costrette a chiudere posizioni in perdita enorme;
– Si potrebbe verificare un “gold squeeze”, un panico da mercato simile alla crisi dei subprime del 2008, ma su scala globale.

E’ chiaro che una rivalutazione dell’oro in linea con i valori di mercato o quelli futuri equivarrebbe a un reset monetario. Il dollaro, la principale valuta di riserva mondiale, subirebbe una svalutazione implicita con conseguente inflazione, per esempio i beni reali — energia, materie prime, cibo — diventerebbero più costosi in dollari; i prezzi dei beni di consumo importati aumenterebbero; i possessori di oro fisico vedrebbero moltiplicarsi il proprio capitale. A livello globale l’aggiustamento tra valute fiat e oro reale potrebbe scatenare una stretta creditizia e una contrazione dell’economia simile a un trauma sistemico, ossia una recessione globale.

Al contrario, paesi come Cina e Russia, che hanno accumulato enormi riserve auree, vedrebbero aumentare la propria influenza finanziaria. Negli ultimi dieci anni i paesi BRICS hanno accumulato riserve auree, con stime non ufficiali che suggeriscono che solo la Cina potrebbe detenere fino a 35.000 tonnellate d’oro all’interno di banche controllate dallo Stato—molto più rispetto alle 2.292 tonnellate ufficialmente dichiarate. Analogamente, si stima che le reali riserve della Russia siano più vicine a 12.000 tonnellate, anziché alle 2.330 tonnellate ufficialmente riportate. Grazie alla rivalutazione dell’oro queste nazioni potrebbero proporre nuove valute di scambio internazionale, parzialmente garantite dall’oro, sfidando l’egemonia del dollaro.

La rivalutazione dell’oro sarebbe un messaggio politico chiaro: l’epoca della moneta fiat illimitata e della finanza speculativa è al tramonto. Proprio come nel 1934, quando Roosevelt rivalutò l’oro per salvare l’economia, una simile mossa oggi potrebbe inaugurare una “Bretton Woods 2.0”, ma con più attori in gioco: Cina, Russia, India e persino i paesi del BRICS.

Consideriamo tre scenari futuri:

– Scenario di stabilizzazione (3.000-5.000 $/oz)
L’oro viene rivalutato a un prezzo intermedio per rafforzare le riserve USA senza destabilizzare troppo il dollaro.

– Scenario di shock (10.000 $/oz)
Avviene una svalutazione massiccia del dollaro; i mercati globali entrano in un periodo di turbolenza di 2-3 anni, con una ristrutturazione del debito.

– Scenario di reset globale
Si crea un nuovo standard monetario multipolare (BRICS vs. Occidente), con l’oro come base di scambio per i commerci internazionali.

Rivalutare l’oro, anche solo a 3.000 dollari l’oncia in linea con il prezzo di mercato, significherebbe ammettere che il sistema attuale, basato su liquidità illimitata e debito crescente, non è sostenibile. Un prezzo di 10.000 dollari l’oncia, poi, sarebbe una cura shock, una defibrillazione per un’economia mondiale sull’orlo di una crisi di fiducia ma con conseguenze drammatiche per l’egemonia dell’occidente.

Sembra improbabile che nell’era di Trump uno di questi scenari si verificherà, anche la rivalutazione dell’oro in linea con l’aumento di valore di mercato metterebbe in grave crisi il primato americano, e questo gli Usa non possono permetterselo. Però l’alternativa rimane valida.

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Il Fatto Quotidiano

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