Una serata da incubo nel baccano di un ristorante. Anche la pace acustica è un diritto!

  • Postato il 26 aprile 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Stasera si mangia fuori: andiamo a caccia di novità o ci buttiamo sul collaudato? Sarei per cercare qualcosa di nuovo, il posto dove siamo stati l’ultima volta non mi è piaciuto per niente. Il cibo non era male, però non conta solo quello che mangi, ma anche come dove e con chi lo consumi. Cambiamo.

Prenotazione per le 19,30, devi lasciare libero il tavolo per le 21, ma forse non c’è bisogno, dipende dalle prenotazioni che raccoglieranno i gestori del locale. Arrivi che non c’è quasi nessuno. L’ambiente è curato, i camerieri (giovani stranieri in gran parte) si prendono cura di noi con discrezione e senza esercitare troppa pressione. Tutto bene finora, lentamente il locale si riempie. Dopo un quarto d’ora siamo quasi al completo. Intanto abbiamo ordinato e siamo stati serviti di bevande e conforti in attesa delle portate vere e proprie. Abbiamo il tempo di gettare l’occhio sulla cucina a vista – al di là della vetrata vanno frenetici cuochi e aiuto – le comande ordinate sulla bacheca davanti al bancone principale dietro ai fornelli. Dalla sala si vede tutto, perfino la postazione del lavapiatti che è, per ora, alle prese con la catasta di pentole. Una bella manifestazione di trasparenza gastronomica.

Un salto in bagno, abbastanza in ordine: d’altra parte i NAS non scherzano e i controlli frequenti, le multe e le ordinanze di chiusura anche. A completare la sala, arriva una comitiva di una decina di persone, si posizionano dopo aver discusso a volumi da discoteca chi dovesse stare vicino a chi. Anche da seduti e accomodati continuano a urlarsi addosso e stroncano nei tavoli vicini qualunque velleità di conversazione.

Prima o poi si calmeranno, pensano i più; essendo uno vicino all’altro, diminuiranno il volume e smetteranno di parlarsi addosso, visto che tutti emettono suoni e nessuno ha il tempo di ascoltare quelli degli altri. Gli avventori che siedono ai tavoli più lontani non rinunciano facilmente alla conversazione che accompagna la degustazione dei piatti che, nel frattempo, i camerieri hanno cominciato a servire. Solo che debbono alzare il volume, quelli vicini a loro ancora di più (se no non sentono gli interlocutori). In breve i più gridano come ossessi, gli altri mangiano in silenzio e perfino con una certa fretta pur di farla finita con quell’esperienza che comincia a diventare infernale. Il locale è una baraonda e quelli del secondo turno, che prima aspettavano in un angolo, sono tutti usciti sul marciapiede per trascorrere gli ultimi minuti di pace sonora prima di tuffarsi nella baraonda.

“Vedrai che appena cominciano a mangiare la smettono, potremo riprendere in mano la nostra serata e gustarci locale e cibo”. Gli ottimisti sono imperturbabili e indefessi, ma ci pensa la comitiva dello scandalo a smentirli: non smettono di gridare nemmeno mentre mangiano, sembrano in gara per affermare se stessi attraverso il confronto di ugole. Hanno tutti un sacco di cose da strillare per dimostrare che hanno da raccontare. Qualcuno più perspicace si guarda intorno, vede gli sguardi assassini delle vittime delle loro intemperanze vocali e abbassa gli occhi imbarazzato. Ma non zittisce i suoi commensali, non vuole fare la figura del rompiscatole. Continua come se niente fosse, solo con un po’ di imbarazzo in più.

Uno sguardo a volo d’uccello rivela volti sbigottiti di persone che rinunciano a ordinare il dessert o un caffè, vogliono solo chiuderla lì e andarsene per non tornare mai più in un locale dove non sai se il cibo era buono, il servizio all’altezza e l’accoglienza anche, perché desideravi solo andartene per il gran baccano.

Nel frattempo né il gestore e tantomeno i camerieri hanno detto nulla, forse assuefatti a un ambiente insalubre comparabile a un’officina con presse e martelli, di quegli attrezzi per i quali servono le cuffie, se no l’Ispettorato del lavoro ti fa la multa, costringendoti a insonorizzare con appositi strumenti, di solito pannelli a soffitto per frangere le onde sonore.

Invece il gestore, almeno lui, avrebbe dovuto intervenire, per rispetto e tutela dei suoi clienti e per dare il giusto risalto alla bellezza del suo locale e alla professionalità della gente che ci lavora. Lui è tranquillo anche con la legge – il DPCM 16 aprile 1999, n. 215 -, perché ha la certificazione di idoneità acustica che il professionista ha rilasciato usando il fonometro a locale vuoto per misurare l’intensità sonora del silenzio. Non è Italia anche questo?

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Il Fatto Quotidiano

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