“Usa e Israele vicini all’accordo per il cessate il fuoco a Gaza”. Herzog: “Valuto la grazia a Netanyahu nel processo per corruzione”

  • Postato il 29 settembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Si è presentato munito di cartelli davanti all’Assemblea Onu per spiegare la minaccia del terrorismo islamico per l’Occidente, negando la fame e il genocidio a Gaza. Ma quello che si è trovato davanti agli occhi il premier israeliano Benyamin Netanyahu è stata una lunga fila di diplomatici da oltre 50 Paesi che lasciavano l’aula. Una scena emblematica, dimostrazione plastica della pressione su Israele per il cessate il fuoco nella Striscia da parte della comunità internazionale. Protagonisti assoluti anche in questa congiuntura sono gli Stati Uniti: Trump ha proposto il suo piano per la pace, e intende finalizzarlo, scalando il muro issato da Netanyahu nel suo intervento a New York. Dal Palazzo di Vetro il premier ha infatti promesso di continuare la guerra fino alla distruzione del nemico ed ha ribadito che non permetterà mai la nascita di uno “Stato terrorista” ai confini, tanto più che l’attuale establishment palestinese moderato, che fa capo ad Abu Mazen, non è considerato un interlocutore credibile.

Nonostante questo, fonti della Casa Bianca, al termine dell’incontro tra Bibi, l’inviato speciale Usa Steve Witkoff e il genero del presidente Donald Trump, Jared Kushner, hanno dichiarato che l’intesa è vicina. Il piano, trapelato sulla stampa israeliana, prevede la restituzione di tutti gli ostaggi entro 48 ore, la fine immediata delle operazioni israeliane e il ritiro graduale delle Forze di difesa di Israele (Idf), oltre alla smilitarizzazione della Striscia e concessione di un’amnistia ai membri del movimento islamista palestinese Hamas disposti ad accettare la pacifica convivenza. Il via libera, secondo quanto emerge finora, rinsalderebbe Netanyahu, seppure con l’estromissione dal governo dell’estrema destra, compensata però dal sostegno dell’opposizione e delle famiglie degli ostaggi. Tra Israele e Usa, al momento, permangono divergenze rilevanti sulle tempistiche per la realizzazione dei punti.

I vantaggi per Netanyahu sul sì a Trump: il fronte interno – Due giorni fa, l’entourage del primo ministro aveva già dichiarato di dover accettare “concessioni dolorose e significative” sottolineando come le misure richieste siano in contraddizione con la linea politica ufficiale di Israele e recenti decisioni del gabinetto, in particolare sul graduale ampliamento del ruolo dell’Autorità Palestinese nella gestione della Striscia dopo il conflitto. Secondo Channel 12, inoltre, Washington sta esercitando “forti pressioni” sul Qatar per spingere Hamas ad accettare i dettagli della proposta nei prossimi giorni, con l’obiettivo di concentrare le richieste diplomatiche soprattutto su Netanyahu e sul governo israeliano. Sul fronte interno, per il premier resta centrale “mantenere le redini”, spiega a Repubblica Yossi Beilin, ex ministro e negoziatore di Yitzak Rabin a Oslo. Un incoraggiamento pare arrivare direttamente dal presidente israeliano Isaac Herzog: ha infatti dichiarato che valuta di concedergli la grazia nel processo per corruzione (Netanyahu è sotto processo per tre casi di corruzione, ma il premier nega qualsiasi illecito e sostiene che tutte le accuse siano state inventate durante un colpo di stato politico guidato dalla polizia e dalla procura di Stato, ndr), affermando che “il caso grava pesantemente sulla società israeliana”. “Valuterò ciò che è meglio per lo Stato e tutte le altre considerazioni”, ha aggiunto alla radio dell’Esercito. Una proposta che vuole dare garanzie al premier proprio nel momento in cui potrebbe acconsentire a quelle “concessioni dolorose” finalizzate al cessate il fuoco. Quel che è certo è che le famiglie degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas sostengono la proposta della Casa Bianca, così come l’esponente dell’opposizione israeliana Benny Gantz. “Il quadro del presidente Trump rappresenta un’enorme opportunità per Israele. Dobbiamo restare fermi su due principi senza compromessi: primo, tutti gli ostaggi devono tornare subito. Questa è la questione più urgente. Secondo, Israele mantiene la libertà di azione in materia di sicurezza e non affida la propria sicurezza a terzi”, ha scritto Gantz su X. “Questo quadro normativo avrebbe potuto essere raggiunto molto tempo fa, ma meglio tardi che mai”, ha aggiunto. Che la volontà della Casa Bianca si stia facendo strada, è reso evidente anche dalla freddezza espressa da Netanyahu verso l’estrema destra. Se nei giorni scorsi Trump aveva ribadito la propria contrarietà a un’eventuale annessione da parte di Israele, ora il premier conferma, generando preoccupazione nella schiera dei coloni – ora sono 500mila nella West Bank – che finora ha sempre difeso e incentivato. “Non è il momento adatto per applicare sovranità sulla Cisgiordania“, riporta il sito web d’informazione israeliano “Walla”, che cita una fonte presente all’incontro a New York tra lo stesso Netanyahu e il consiglio di Yesha, un’organizzazione ombrello dei consigli municipali degli insediamenti ebraici in Cisgiordania. Dichiarazioni inaspettate per il leader dei coloni Yossi Dagan, a capo del Consiglio regionale di Samaria, che si è detto “molto preoccupato” al termine di un incontro col premier. Il colloquio, ha detto Dagan al sito di notizie Ynet, è stato “molto lungo e la sensazione che ne è derivata è che siamo molto preoccupati”, perché il Netanyahu ha rifiutato di impegnarsi a stabilire una tempistica per l’annessione della Cisgiordania da parte di Israele. “Questo governo potrebbe firmare la costituzione di uno Stato palestinese il prossimo 7 ottobre”, ha affermato Dagan.

Un’ipotesi, questa, mai ventilata dal premier. Quel che è certo, osserva Beilin parlando a Repubblica, è che “Netanyahu è sotto pressione: se a quella interna aggiungiamo quella che potrebbe mettere Trump, potremmo essere davanti ad una svolta“. Una svolta anche per il suo governo perché accettare il piano vuol dire farlo cadere e “perdere questa maggioranza. Far uscire l’estrema destra, quella che vuole il “Grande Israele, dal fiume al mare”. Ma centro e centro-sinistra hanno già detto di essere pronti a sostenerlo pur di arrivare al cessate il fuoco – evidenzia -. Quindi Netanyahu potrà restare al potere, almeno per il tempo necessario a implementare il piano”. E aggiunge ancora Beilin: “La priorità di Netanyahu è mantenere le redini. I partiti che lo sosterranno sono in condizione di imporgli condizioni: la prima dovrebbe essere far uscire completamente l’estrema destra dal governo. La seconda trattare per arrivare a uno schema di accordo complessivo con i palestinesi: non solo Gaza, anche la Cisgiordania – prosegue -. Su quello schema, sulle opposte visioni si dovrebbe basare la campagna elettorale del 2026. Su quello schema il Paese potrebbe arrivare ad una svolta”. Trent’anni fa, ricorda, “c’erano 90 mila coloni in Cisgiordania quando io parlavo con Abu Mazen. Oggi ce ne sono 500 mila: se non risolviamo questo problema, non risolveremo la questione centrale per il nostro futuro – sottolinea -. Pochi forse se ne rendono conto: ma su Gerusalemme, come sul diritto al ritorno dei palestinesi, nel tempo sono stati raggiunti degli accordi“. Ostacoli che Beilin ritiene “oggi superabili. Quello dei coloni, così com’è, no: blocca il nostro futuro. È tempo di pensarci e questa può essere l’occasione giusta”, conclude. Dalla parte di Trump, poi, c’è anche l’Hostage Family Forum, che ha scritto al presidente una lettera prima del suo incontro con Netanyahu. L’hanno ringraziato per i suoi sforzi per liberare i prigionieri e l’hanno supplicato di portare a termine l’accordo per il ritorno degli ultimi rapiti. “Siamo grati e dipendiamo dalla vostra forza e dalla forza e dal potere degli Stati Uniti d’America”, hanno scritto sottolineando il suo impegno per la loro causa. Le famiglie hanno anche chiesto a Trump di “resistere fermamente a qualsiasi tentativo di sabotare l’accordo da voi proposto. La posta in gioco è troppo alta e le nostre famiglie hanno aspettato troppo a lungo perché qualsiasi interferenza potesse ostacolare questo progresso”. Continua poi la lettera: “Il vostro duplice obiettivo di porre fine alla guerra e riportare a casa tutti i 48 ostaggi è in netto contrasto con la guerra che Israele sta attualmente conducendo. Vogliamo ringraziarvi per aver mantenuto coraggiosamente le vostre convinzioni nonostante questo contrasto”. Poi la conclusione: “Per favore, signor Presidente, non si fermi. Abbiamo bisogno di lei. 48 dei nostri cari – i nostri padri, fratelli, figli – hanno bisogno di lei. Abbiamo bisogno che i nostri cari tornino a casa”.

Il piano di Trump – Tra i 21 punti c’è prima di tutto il rilascio di tutti gli ostaggi e l’avvio del ritiro dell’Idf, poi aiuti illimitati ai civili ed un governo temporaneo senza Hamas, che verrebbe disarmato. È una road map all’insegna del pragmatismo, che fa solo un vago accenno ad uno Stato palestinese con l’obiettivo di vincere le resistenze di Benyamin Netanyahu. La fazione islamica, secondo i media israeliani, avrebbe dato un ok “di principio” agli Usa, ma non è chiaro se i suoi negoziatori abbiano già ricevuto le carte da esaminare. “Siamo molto vicini ad un accordo”, ha annunciato Trump dopo aver illustrato i dettagli del suo piano per Gaza ai leader arabi (dal Qatar all’Arabia Saudita, dall’Egitto alla Turchia), a margine dell’Assemblea generale dell’Onu. La priorità è il ritorno a casa degli ostaggi, sia i circa 20 ancora vivi che i corpi dei caduti. Hamas dovrà rilasciarli in un’unica soluzione 48 ore dopo l’accordo con Israele, che in cambio interromperà le operazioni militari iniziando a ritirarsi. Ai residenti arriveranno finalmente aiuti umanitari massicci, di nuovo distribuiti da Nazioni Unite e Mezzaluna Rossa e non più dalla controversa Ghf. Per Hamas Trump pensa ad una soluzione di compromesso: disarmo totale e nessun futuro nel governo della Striscia, in cambio dell’amnistia per i militanti e dell’esilio per i leader. L’enclave sarà gestita da un governo ad interim composto da tecnocrati palestinesi e supervisionato da un ente internazionale approvato da Usa, arabi ed europei, che resterà in carica fino a che l’Anp non completerà il suo programma di riforme. Un altro punto qualificante in favore degli arabi è il no Usa all’annessione della Cisgiordania da parte di Israele. Di Stato palestinese invece si parla solo come appendice: se tutto a Gaza andrà come da programma, “potrebbero esserci le condizioni per un percorso credibile” in quella direzione. Secondo Trump il governo israeliano è già “stato informato a tutti i livelli” del negoziato, ma servirà scalare il muro issato da Netanyahu nel suo intervento all’Onu. Nel frattempo la campagna dell’Idf sul terreno continua senza sosta.

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