Valditara chiede meno compiti e verifiche, ma dopo aver parlato di carenze formative: un’antitesi

  • Postato il 29 aprile 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Il ministro Valditara si trova, credo, in uno stato di grande confusione sul piano pedagogico e didattico. Nel giro di poche settimane ha fatto delle dichiarazioni totalmente in antitesi tra di loro. Può capitare a chi parla molto e con modesta competenza.

Alcune settimane fa il ministro, riprendendo i dati del Censis, aveva sottolineato le carenze formative della scuola italiana. Il ministro naturalmente ha dato la colpa alla pedagogia progressista (?) perché lassista, e al solito ’68 che nella sua visione iper ideologica è all’origine di tutti i mali della scuola, come della società.

Di fronte a quest’analisi, uno si sarebbe aspettato la ripresa di una visione rigorista e selettiva della scuola come luogo di promozione di una vera meritocrazia, basata sul duro lavoro e il sacrificio. Un ritorno all’antico, insomma. Invece ora arriva l’appello ai docenti di ridurre i compiti per casa e anche le verifiche. La medicina conservatrice non è più quella amara di un maggiore impegno, ma quella lassista di abbassare l’asticella del rigore. Oltre a questo il ministro propone di ridurre le carenze dei nostri studenti aumentando a dismisura il numero delle materie fondamentali, dalla conoscenza della Bibbia all’informatica, come se gli studenti dovessero rimanere sui banchi di scuola da mattina a sera.

La questione dei “troppi compiti e verifiche” è un eterno rovello per la scuola, docenti e genitori. È una questione quasi metafisica che ho incontrato spesso da genitore, insegnante e presidente per molti anni di Consiglio di Istituto. Qui gioca la solita dialettica hegeliana della tesi e dell’antitesi. I docenti preferiscono molti compiti e severe verifiche (la tesi) perché sono interessati alla qualità dell’apprendimento che non si può disgiungere dal duro lavoro domestico. Lo studio è fatica, da qui non si scappa. I genitori invece premono nell’altra direzione (l’antitesi) per liberare i weekend, per non vedere i loro figli patire troppo sui libri in lunghi pomeriggi, essendo in fondo interessati solo alla valutazione. Chi ha ragione?

Qui occorre trovare una sintesi che ogni singolo docente e ogni singolo consiglio di classe deve ricercare. Naturalmente gli esiti possono essere molto diversi. La recente rampogna ministeriale suona tanto inutile quanto inopportuna. È solo un momento di molesto marketing scolastico, un’attività che piace molto al ministro per avere qualche applauso genitoriale e qualche riga sui giornali.

Per tornare alla realtà della scuola, come ha suggerito il ministro stesso, occorre però uscire dal microcosmo nazionalista delle statistiche del Censis. Se andiamo a guardare le statistiche internazionali come quelle dei risultati del test Ocse-Pisa (Programme for International Student Assessment) che riguarda 80 Paesi, vediamo che la scuola italiana non se la cava male. I punteggi dei nostri quindicenni in matematica, italiano e scienze sono in linea con quelli degli altri Paesi industrializzati. La scuola è cambiata non solo in Italia, ma nel mondo. Nessun disastro insomma. Se poi guardiamo chi è in testa, lì troviamo paesi come la Corea del Sud o il Giappone dove la severità è di casa. Per ottenere buoni risultati sia gli studenti, ma anche i docenti, devono sudare le mitiche sette camicie.

Quindi anche Valditara deve scegliere da che parte stare, e anzi ha già scelto. La sua rinuncia al rigore lo accomuna, dialetticamente, con un’errata idea di inclusività che permea una frangia notevole del movimento progressista. Questo ci porta, inevitabilmente, verso una scuola della mediocrità dove l’aspetto tradizionale, ma fondamentale, della preparazione e delle conoscenze è subordinato a mille altre istanze, legittime ma che poco hanno a che fare con la scuola. Tuonare contro i docenti che rimangono fedeli alla loro vocazione della trasmissione del sapere non aiuta molto, e anzi è molto frustante. Se si vogliono i bei voti senza studiare, con pochi compiti e verifiche, non c’è problema. Basta che il ministro emani una circolare in cui si preveda che il voto minimo sia la sufficienza. Così saranno contenti tutti, famiglie, studenti, ministro, e perché no, anche i docenti che non avranno più compiti da correggere. La scuola della santa alleanza tra la destra degli scansafatiche e la sinistra falsamente inclusiva è questa: una scuola senza qualità.

Ma, in fondo non c’è problema. Viviamo in un mondo post-scolastico in cui le agenzie formative e informative sono numerosissime. La scuola pubblica, ultimo baluardo di una formazione credibile, può essere benissimo sostituita. Dopo un’economia senza fabbriche, avremo anche una formazione senza scuola pubblica e frastagliata in mille rivoli privatistici? È possibile, ma non credo sarebbe un progresso. Svalutare a ogni piè sospinto la scuola pubblica e l’attività dei docenti come sembra fare l’autorità ministeriale non produrrà buoni risultati.

Se vuol essere un bravo conservatore, come dice di essere, Valditara dovrebbe ritornare ai modelli di severità scolastica di Croce e Gentile del 1923, sbagliati ma almeno coerenti. La sua pseudo pedagogia populista, sempre dalla parte delle famiglie e poco attenta ai docenti, rischia di avvelenare ancora di più il già compromesso ambiente scolastico.

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Il Fatto Quotidiano

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