Via D’Amelio, l’ex pm antimafia Teresi: “Chi aveva interesse a occultare la verità oggi ha nome e cognome”

  • Postato il 8 luglio 2025
  • Giustizia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Le istituzioni hanno già perso credibilità rispetto alle stragi del ’92 e del ’93, ma anche a quelle precedenti. Non c’è strage importante in Italia che non abbia avuto problemi di depistaggi, di inserimenti di personaggi legati alle istituzioni e di tentativi di non arrivare mai alla verità. Le istituzioni, dunque, sono ampiamente decadute nella considerazione pubblica per quanto riguarda la ricerca della verità sulle stragi”. Sono le amare parole pronunciate ai microfoni di 24 Mattino, su Radio 24, da Vittorio Teresi, presidente del Centro Studi “Paolo e Rita Borsellino” ed ex pubblico ministero nel processo sulla trattativa Stato-mafia.

Teresi si sofferma sulle ultime novità dell’inchiesta condotta dalla Procura di Caltanissetta per strage e depistaggio legati all’uccisione di Paolo Borsellino e degli agenti della scorta. Secondo quanto emerge, Giovanni Tinebra, procuratore a Caltanissetta dal 1992 al 2001, morto nel 2017 e allora capo del pool che coordinava le indagini condotte da Arnaldo La Barbera, ritenuto regista del depistaggio su via D’Amelio, sarebbe stato affiliato a una loggia massonica segreta e irregolare, definita dagli inquirenti “una nuova P2”.

«L’opacità della gestione di Tinebra – esordisce Teresi – era ben chiara a noi che lavoravamo in procura con Paolo Borsellino, già prima della strage. E lo diventa ancora di più dopo, perché Paolo chiese più volte alla procura di Caltanissetta, quindi a Tinebra, di essere ascoltato subito sulle vicende di Capaci. Aveva acquisito elementi molto importanti, o che comunque riteneva tali, ma non venne mai sentito nei 57 giorni che intercorrono tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio. E io, alla luce anche della sentenza della Cassazione su Bellini, condannato definitivamente all’ergastolo per la strage di Bologna, mi convinco sempre più che la pista nera, confermata dalla presenza di Bellini in Sicilia, sia oggi una delle ipotesi più credibili per spiegare le stragi del ’92 e in parte anche quelle del ’93».

Teresi insiste: “Bellini rappresenta un punto di contatto molto forte tra gli ambienti del terrorismo e quelli mafiosi. È stato in Sicilia, questo è documentato e provato. E ha parlato con Nino Gioè, boss di Altofonte, mafioso di primo piano: fu uno degli autori e degli organizzatori della strage di Capaci, e colui che, accanto a Giovanni Brusca, tenne in mano il telecomando che fece esplodere l’autostrada”.

Poi l’ex magistrato affonda: “Purtroppo, in questi trent’anni ci hanno abituati a percorsi che ci allontanano dalla verità. Non a caso, la sentenza del Borsellino Quater, che finalmente parla di depistaggio, arriva dopo 23-24 anni dalla strage. Parliamo di qualcosa rimasto occulto per decenni, perché era nell’interesse di centri di potere, che oggi, ahimè, potrebbero avere nomi e cognomi, mantenerlo tale – continua – Si cercava l’agenda di Borsellino, si sperava che fosse trovata perché era il presupposto essenziale del depistaggio: senza la scomparsa dell’agenda, il depistaggio non poteva compiersi. È stata rubata, si pensava potesse trovarsi lì, ma evidentemente non c’è. Purtroppo”.

Teresi torna su Tinebra: «La sua adesione a una loggia massonica ne offusca la figura, rendendola sospetta. Ricordo che era anche interesse di certa massoneria, come ci insegna la storia di Licio Gelli, quello di sconvolgere il Paese per spostarne l’asse politico a destra. È sempre la stessa storia: ciò che è avvenuto con le bombe del terrorismo, guidate da poteri deviati, si ripete con la mafia. Non è cambiato nulla”.

L’ex magistrato conclude: “Se smettiamo culturalmente di pensare che la verità si possa raggiungere solo attraverso i processi, forse possiamo arrivarci. La verità è sì compito della magistratura, che però deve rispettare i paletti imposti dagli altri interessi e diritti tutelati nel processo, ma è anche dovere degli storici e del giornalismo d’inchiesta. In questo senso, – chiosa – la verità si può raggiungere. Anzi, la verità si può raggiungere. Se cambiamo mentalità e capiamo che il processo penale non è l’unico percorso possibile, allora possiamo davvero arrivare a una verità importante”.

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