Aumento della cedolare sugli affitti brevi: “primo passo” o la norma in manovra è inutile? Cosa dicono dati ed esperti
- Postato il 27 ottobre 2025
- Speciale Legge Di Bilancio
- Di Il Fatto Quotidiano
- 2 Visualizzazioni
La manovra di Bilancio ha riacceso il dibattito sugli affitti brevi, confermando l’aumento della cedolare secca dal 21% al 26% per chi affitta tramite piattaforme online come Airbnb o Booking. L’aliquota resterà al 21% solo per chi gestisce direttamente la propria abitazione, una minoranza assoluta: secondo l’Aigab, l’Associazione italiana gestori affitti brevi, appena l’1,4% dei proprietari affitta senza intermediari. La misura entrerà in vigore dal 2026 e punta ufficialmente a contrastare la scarsità di alloggi nelle grandi città e a garantire un gettito aggiuntivo stimato in oltre 100 milioni di euro all’anno, come ha dichiarato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che ha guidato la proposta delle modifiche.
Da un lato, il vice premier Matteo Salvini e Forza Italia promettono di modificarla in Parlamento, definendola una “tassa punitiva” per i piccoli proprietari e un provvedimento “con gettito minimo che lede la proprietà privata”. Diverse associazioni di settore e sindaci si sono schierati contro la manovra per le stesse ragioni. Dall’altro, Fratelli d’Italia e Giorgetti difendono la misura come un primo passo verso una regolamentazione più equa del fenomeno degli affitti brevi. In un mare di critiche che arrivano da destra e sinistra, c’è invece chi reputa la misura come un inizio verso una limitazione necessaria e chi chiede anche provvedimenti più forti, che tengano conto di un’Italia degli affitti brevi tutt’altro che uniforme, con forti differenze nella concentrazione delle strutture quanto nei limiti e le regole imposte a chi opera in questo mercato.
È il caso del Sunia, il Sindacato unitario nazionale inquilini e assegnatari, che chiede al governo di “non fermarsi a questo singolo provvedimento e di varare con urgenza un Piano Casa Nazionale per affitti sostenibili che includa il ripristino del fondo di sostegno all’affitto, investimenti nel settore pubblico e regolamentazioni, a partire dagli affitti brevi”.E ancora, scrive l’Ocio, l’Osservatorio civico sulla casa e la residenza, realtà nata a Venezia per monitorare le dinamiche abitative nelle città ad alta densità: “Il 26% sarebbe già qualcosa, altro che eccesso”, commenta un attivista di Ocio e ricercatore all’Università di Siena. L’osservatorio ha criticato i dati di Aigab, largamente diffusi dalla stampa in seguito all’annuncio delle modifiche: “Affermare che in Italia ci siano 35,2 milioni di case e 9,6 milioni di seconde case inutilizzate, o che solo l’1,4% del patrimonio immobiliare sia destinato agli affitti brevi, senza distinguere tra città d’arte, centri storici e aree interne spopolate, fornisce un quadro fuorviante della pressione reale sugli affitti turistici”.
L’associazione contesta anche la dichiarazione di Aigab secondo cui il 30,4% delle case deriverebbe da eredità “in località poco interessanti”, evidenziando che in quelle zone l’affitto breve difficilmente produce reddito significativo. Ocio evidenzia inoltre l’iniquità del regime fiscale di favore: “La cedolare secca, nata per contrastare l’evasione negli affitti tradizionali, oggi viene applicata anche a locazioni turistiche con rendite superiori”. La soluzione più equa, secondo l’osservatorio, sarebbe eliminare la cedolare secca, facendo confluire i redditi nel reddito complessivo del proprietario e applicando le aliquote Irpef progressive.
La situazione nelle città italiane mostra differenze marcate: secondo i dati del ministero del Turismo, le strutture registrate per affitti brevi in Italia sono 689.315, con la Toscana al vertice con 80.354 unità, seguita da Lombardia (72.187), Lazio (66.729), Veneto (63.175), Puglia (57.701), Sicilia (54.756) e Sardegna (46.524). In confronto, Piemonte ed Emilia Romagna contano meno di 30.000 strutture, mentre Umbria e Calabria meno di 10.000. A livello cittadino, Roma ha oltre 54.000 strutture registrate, Milano circa 31.000, mentre Venezia e Firenze vedono gli affitti brevi rappresentare rispettivamente l’11% e il 13% delle abitazioni disponibili. Napoli, invece, ha registrato una crescita esponenziale: negli ultimi dieci anni gli annunci di affitti brevi sono aumentati dell’800%, con un calo del 42% delle abitazioni disponibili per i residenti. Questo fenomeno ha contribuito in parte all’aumento degli sfratti non legati alla morosità, cresciuti del 15% nel 2024, superando i 10.000.
Nei giorni scorsi, la sindaca di Firenze, Sara Funaro, in un’intervista a Il Foglio ha espresso il suo sostegno all’aumento della cedolare secca, considerandolo “un primo piccolo segnale” in linea con l’operazione di regolamentazione portata avanti dalla Toscana negli ultimi anni: “Fino a oggi come sindaci abbiamo chiesto di avere una normativa nazionale per andare a regolamentare gli affitti brevi, ma su questo stiamo ancora aspettando risposte dal governo che anzi ha impugnato la legge regionale toscana che va in questa direzione e che a Firenze ci ha consentito di fermare la crescita di questo tipo di locazioni”. E aggiunge: “A Firenze abbiamo 16mila affitti brevi e 8 mila case popolari, esattamente il doppio. E questo tra l’altro con la maggioranza concentrata nel centro storico. È chiaro che ci sia qualcosa che non va”.
Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, il mercato degli affitti brevi in Italia, terza nazione in Europa per numero di questa tipologia di locazione, ha già mostrato segnali di contrazione: secondo Airdna, nel periodo giugno-agosto 2025 il numero medio di annunci attivi in Italia è stato di circa 508.000, in calo rispetto ai 522.000 dello stesso periodo del 2024. Questo calo non è legato solo all’introduzione del Codice Identificativo Nazionale (CIN), ma anche alle crescenti restrizioni locali, soprattutto nei centri storici di Roma, Firenze, Milano, Bologna, Venezia e Torino, dove limiti ai giorni di locazione, obblighi di registrazione, tasse di soggiorno più alte e controlli più severi hanno contribuito a ridurre il fenomeno, in linea con quanto avviene in altre città europee come Barcellona e Parigi.
E ora anche l’Europa si prepara all’entrata in vigore del regolamento Ue 2024/1028 che obbliga le piattaforme digitali a condividere i dati con le autorità competenti e mira a ristabilire un equilibrio tra il diritto all’accoglienza turistica e al diritto all’abitare delle comunità locali. L’aumento della cedolare secca al 26% solleva dubbi su equità ed efficacia nel ridurre la pressione abitativa. Fino all’approvazione della legge di Bilancio, prevista entro il 31 dicembre, il dibattito dovrà confrontarsi anche con le richieste di chi auspica misure più incisive, per garantire un migliore equilibrio tra affitti turistici e disponibilità di alloggi per residenti.
L'articolo Aumento della cedolare sugli affitti brevi: “primo passo” o la norma in manovra è inutile? Cosa dicono dati ed esperti proviene da Il Fatto Quotidiano.