Centrale del Mercure salva ma la Consulta richiama tutti alla difesa dell’ambiente
- Postato il 28 luglio 2025
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Il Quotidiano del Sud
Centrale del Mercure salva ma la Consulta richiama tutti alla difesa dell’ambiente
La Corte Costituzionale ha bocciato la ‘Legge Laghi’ che vietava nei parchi la presenza di centrali a biomasse di potenza superiore ai 10 mw termici e imponeva il ridimensionamento della Centrale del Mercure. Ma lancia un monito (per il futuro): «Un impianto del genere in un parco naturale può contrastare con il principio costituzionale di tutela dell’ambiente»
LA CORTE Costituzionale ha bocciato la cosiddetta ‘legge Laghi’, la norma che vietava la presenza nei parchi nazionali e regionali della Calabria di centrali a biomasse con potenza eccedente i 10 mw termici. La legge – approvata dalla maggioranza del Consiglio regionale – bloccava quindi eventuali nuove autorizzazioni per centrali a biomasse nei parchi e imponeva a quelli esistenti di ridurre la potenza. L’effetto, immediato, lo avrebbe avuto sulla Centrale del Mercure (42 mw termici) collocata nel Parco nazionale del Pollino.
La Consulta ha accolto il ricorso del Governo, perché la legge – scrivono i giudici nella sentenza – viola l’articolo 117 comma 3 della Costituzione, che colloca l’energia tra le materie a legislazione concorrente, e, per la parte dedicata agli impianti esistenti, anche l’articolo 41, sulla libertà dell’iniziativa economica privata.
E tuttavia, la lettura della sentenza non suona come una bocciatura tout-court. La legge è sì incostituzionale, per come è stata concepita, ma il principio da cui muove – la tutela di un parco naturale – viene condiviso dai giudici. «L’esigenza di tutelare la biodiversità e gli ecosistemi dei parchi nazionali o regionali deve essere attentamente considerata da tutte le pubbliche autorità» si legge nel titolo del comunicato stampa, con cui la Consulta annuncia di aver accolto il ricorso del Governo contro la legge calabrese. Sembra un bel cortocircuito, ma vediamo nel dettaglio cosa dice la Corte.
PERCHÉ LA LEGGE LAGHI È STATA BOCCIATA DALLA CORTE COSTITUZIONALE
La Corte Costituzionale ha ritenuto fondate le eccezioni presentate dal Governo, perché la Regione Calabria non poteva introdurre «un divieto assoluto stabilito a priori» di localizzare un impianto a biomasse di potenza superiore ai 10 mw termici nei parchi. Quello che la Regione poteva fare, anche con legge, era inserire i parchi nazionali e regionali tra le aree inidonee all’installazione di un certo tipo di impianti. In questo modo si sarebbe attenuta al decreto ministeriale 21 giugno 2024, che detta la disciplina per l’individuazione delle aree destinate agli impianti a fonti rinnovabili.
E dov’è – si potrebbe chiedere – la differenza? La citata norma nazionale contiene un preciso richiamo a un decreto del ministro dello Sviluppo economico del 2010. Dal combinato disposto dei due decreti, spiega la Corte, si ricava che l’individuazione delle aree non idonee non deve configurarsi come divieto preliminare e che serve un’istruttoria.
IL DIVIETO RICHIEDE UN’ISTRUTTORIA SUL SINGOLO CASO
«La decisione definitiva in merito alla realizzazione degli impianti a fonti rinnovabili, anche se la legge regionale ha qualificato determinate aree come non idonee, va assunta, in ogni caso, all’esito del singolo procedimento di autorizzazione concernente lo specifico progetto di impianto, all’interno del quale si potrebbero comunque evidenziare ragioni a favore della sua realizzazione – spiega la Corte Costituzionale – Pertanto, si deve concludere che, nel nuovo contesto dei principi fondamentali della materia, il potere, previsto dall’art. 20, comma 4, del d.lgs. n.199 del 2021, di individuare con legge regionale le aree idonee è stato accordato alle regioni anche con riguardo alle aree non idonee, con la precisazione, però, che l’inidoneità non può mai equivalere a un divieto assoluto e aprioristico».
C’è una ratio, spiegano i giudici costituzionali. È quella di «scongiurare il rischio che gli organi politici regionali, quando non sussistano evidenti ragioni di salvaguardia degli ecosistemi e della biodiversità, ricorrano allo “strappo legislativo” per assecondare la tentazione di ostacolare impianti sui rispettivi territori».
IL RIDIMENSIONAMENTO DELLA CENTRALE DEL MERCURE CONTRASTA CON LA LIBERA INIZIATIVA ECONOMICA
Il comma poi che impone la riduzione a 10 mw termici degli impianti di potenza superiore esistenti nei parchi incontra, per la Corte, altri profili di illegittimità. Innanzitutto contrasta con l’articolo 41, che stabilisce la libertà dell’iniziativa economica. È vero che nella sua versione rinnovata l’articolo prevede tra i principi limitanti l’iniziativa economica privata anche l’ambiente. Tuttavia «qui rileva che la previsione regionale assume il carattere di legge provvedimento, poiché è riferibile unicamente alla centrale del Mercure».
La norma quindi è destinata a incidere su una singola posizione giuridica e richiede quindi «uno scrutinio stretto di costituzionalità». L’esame alla fine, dice la Consulta, non è superato. La norma «trasmoda in una disciplina lesiva del legittimo affidamento». In particolare «nel caso in questione, data anche la brevità del termine richiesto per l’adeguamento (sei mesi) alla riduzione di potenza, la norma impugnata non si giustifica adeguatamente rispetto non solo all’iniziativa economica della società autorizzata alla gestione dell’impianto ma anche alla posizione dei lavoratori nello stesso occupati».
I DUBBI DELLA CONSULTA SULLA PRESENZA DI CENTRALI A BIOMASSE NEI PARCHI
La Corte Costituzionale non dimentica certo che la tutela dell’ambiente e della biodiversità è, da qualche anno, tra i principi tutelati dalla nostra carta fondamentale. Anche se le norme, quindi, e le procedure previste possono portare all’autorizzazione di centrali alimentate da biomasse di elevata potenza termica nei parchi naturali, tale eventualità – dicono i giudici, citando precedenti sentenze – potrebbe presentare criticità rispetto alla «preminente rilevanza accordata […] alla protezione dell’ambiente dal novellato art. 9 Cost., che ne consacra direttamente nel testo della Costituzione il mandato di tutela e vincola così, esplicitamente, tutte le pubbliche autorità ad attivarsi in vista della sua efficace difesa».
Le centrali a biomasse, pur rientrando tra gli impianti a fonti rinnovabili, «possono produrre effetti anche negativi sull’ambiente – si legge in un passaggio della sentenza – non solo per le emissioni nell’atmosfera derivanti dalla combustione, ma anche a causa dell’imponente movimentazione di mezzi di trasporto delle medesime biomasse, spesso solo in parte reperibili in loco, che è necessaria per alimentare questo tipo di centrali e che all’interno dei parchi naturali può avvenire, verosimilmente, solo su gomma».
Mentre per gli altri impianti che utilizzano fonti energetiche rinnovabili, dicono i giudici, è minore il rischio di entrare in conflitto con il principio di tutela dell’ambiente – tutt’altro – per quelli alimentati da biomasse «tale conflitto è, invece, più facilmente ipotizzabile, quando lo loro realizzazione avvenga in aree, come i parchi, destinate precipuamente a difendere l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, cioè i beni cui fa espresso riferimento il novellato articolo 9 della Costituzione».
Parole che, a questo punto, agiscono da monito: alle autorità, consiglio dei ministri in testa, per future procedure autorizzative.
LE REAZIONI DELLA POLITICA E DEL SINDACATO
Le prime reazioni (di giubilo) ad arrivare provengono dalla politica. Da una parte della maggioranza del Consiglio regionale – il centrodestra la norma la votò, ma a quanto pare per un pasticcio – e dal Pd. «Una sentenza storica, il diritto al lavoro di oltre 1.500 persone difeso grazie a chi, come noi, si è battuto dal primo giorno» dice Giuseppe Graziano (Azione). «La Corte conferma quanto il Pd aveva denunciato e smaschera l’arroganza del centrodestra e di Occhiuto» è il commento del gruppo dem. Esulta anche la Cisl: «Salvaguardato il lavoro, tutelata la dignità del territorio».
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