Chi è l’After Life Manager, la nuova professione che gestisce l’eredità digitale
- Postato il 10 settembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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L’evoluzione dei costumi e delle tecnologie ci mette di fronte a nuove domande sul rapporto tra vita, morte e ciò che resta di noi. Se un tempo la memoria dei nostri cari si custodiva in album fotografici, lettere o racconti tramandati in famiglia, oggi ci troviamo immersi in un universo diverso: profili social che continuano a vivere, archivi cloud che si riempiono di immagini, chat che custodiscono parole mai dette ad alta voce. È un territorio inedito, affascinante e inquieto insieme, che chiede di essere esplorato con consapevolezza. Ed è qui che entra in scena una figura ancora poco conosciuta in Italia: l’After Life Manager.
Questa nuova professionalità accompagna le persone, già in vita, nella gestione del proprio “dopo”. Non si tratta soltanto di organizzare un testamento digitale o archiviare dati sensibili: significa scegliere cosa lasciare e cosa cancellare, come proteggere immagini e video, quali parole affidare a chi verrà dopo di noi. In altre parole, significa prendersi cura delle tracce digitali, quelle impronte che testimoniano la nostra presenza nel mondo virtuale e che sopravvivono oltre l’esistenza biologica.
Basta guardarsi intorno per cogliere la portata del problema. Quanti profili social restano attivi dopo la morte di una persona? Quante foto continuano a riaffiorare come notifiche, quanti messaggi riemergono all’improvviso, diventando ferite aperte per chi resta? Lasciare tutto al caso equivale a consegnare i nostri cari a decisioni difficili, in un tempo già segnato dal dolore. Pianificare, invece, è un gesto di cura: significa proteggere e affidare con consapevolezza ciò che riteniamo essenziale della nostra identità digitale.
L’After Life Manager si colloca in un crocevia unico, dove diritto, tecnologia, psicologia e tanatologia si incontrano. Non è un tecnico informatico, ma una figura di accompagnamento: pone domande che spesso non osiamo fare, aiuta a distinguere tra ciò che appartiene alla sfera privata e ciò che può avere un valore per una famiglia, per una comunità, talvolta persino per la collettività.
Negli Stati Uniti e nel Regno Unito i servizi di “digital legacy” sono già strutturati, mentre in Italia questo tema resta quasi inesplorato. Non perché manchi la necessità, ma perché manca la cultura della pianificazione del “dopo”. La nostra società tende ancora a rimuovere la morte, a silenziare ogni pensiero che la riguardi. Eppure, proprio il diffondersi della death education ci invita a rialfabetizzarci: non solo a riflettere sulla morte o sul nostro funerale, ma anche sul destino delle nostre tracce digitali, su quelle parole, immagini e segni che continueranno a parlare di noi.
Il compito dell’After Life Manager, allora, è duplice: affiancare chi vuole pianificare con lucidità il proprio futuro digitale e, allo stesso tempo, sostenere le famiglie nell’elaborazione della perdita, trasformando la tecnologia da minaccia a risorsa.
Non si tratta di burocrazia, ma di umanità: riconoscere che ogni traccia digitale ha un valore, e che proprio da questo valore discende la responsabilità di chi la lascia.
Viviamo in un tempo in cui tutto diventa file, dato, immagine. Occuparsi dell’“after life” significa riportare al centro la persona, il legame, la dignità di ciò che resta. È un invito a non subire la morte digitale, ma a trasformarla in un atto consapevole, capace di custodire con rispetto la nostra presenza oltre la vita.
E voi, avete mai pensato a quale destino vorreste dare alla vostra identità digitale?
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