Corde attorno alle eliche, acido al posto dell’acqua e danni ai motori: tutti i tentativi di sabotaggio delle navi in partenza per Gaza

  • Postato il 31 agosto 2025
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Non solo in mare. I tentativi di bloccare le navi che negli ultimi anni hanno provato a raggiungere Gaza spesso cominciano ancora prima della partenza, quando i mezzi sono fermi nei porti. Come? “I sabotaggi sono molto comuni”, racconta a Ilfattoquotidiano.it Maria Elena Delia , la portavoce italiana della Global Sumud Flotilla, che proprio oggi salpa di nuovo verso la Striscia. E i tentativi di danneggiamento sono di due tipi: “Burocratici e fisici”. Non solo decreti d’urgenza e carte bollate per vietare le partenze, ma anche corde legate attorno alle eliche, acido solforico al posto dell’acqua, alberi di trasmissione segati in due. Veri e propri “sabotaggi” che hanno colpito le navi in partenza per Gaza dal 2008 a oggi. Per questo in passato “queste missioni hanno dovuto avere un livello di segretezza molto alto perché l’intenzione di Israele e dei suoi alleati è sempre stata quella di bloccarle”.

Una denuncia che arriva a poche ore dall’avvio della missione marittima civile e nonviolenta che proverà a rompere l’assedio israeliano alla Striscia. “In queste situazioni abbiamo provato ad allestire misure di sicurezza tipo telecamere subacquee o addirittura subacquei che monitorano i fondali nelle acque del porto, e sottolineo nel porto perché queste cose sono accadute non al largo, ma ancora in porto. L’ho visto io stessa ad Atene nel 2011”, ricorda l’attivista che nel giugno di quell’anno partecipò alla Freedom Flotilla in partenza dal porto del Pireo, in Grecia. “Eravamo sei o sette barche, c’era la nostra italo-greca dedicata a Stefano Chiarini e poi quella francese, spagnola, statunitense”. Ma una mattina, nel bel mezzo dei preparativi per la partenza, gli attivisti fanno una brutta scoperta. “Nella notte era stato danneggiato l’albero motore. E così l’imbarcazione fu tolta dall’acqua e portata in un hangar dove venivano fatte le riparazioni. Questo danno ci fece ritardare di due o tre giorni la potenziale partenza”. E il termine potenziale non è casuale. “Perché a quel punto subentrò il secondo tipo di boicottaggio, quello burocratico” racconta Delia. “Il governo greco emanò un decreto apposta per non far partire le barche usando come scusa la nostra sicurezza, alcune nostre fonti ci dissero che il governo italiano, ma non solo, aveva fatto pressione su quello greco per non farci partire – ricorda l’attivista – noi avevamo invitato i media sulle barche, avevamo fatto ispezionare gli aiuti, eravamo disposti a farci fare anche i raggi x per dimostrare che eravamo le persone più pacifiche al mondo, ma non ci fecero partire”.

Ma i sabotaggi non sono episodi isolati. L’ultimo caso è avvenuto soltanto un mese fa. Era la notte tra il 19 e 20 luglio al porto di Gallipoli. L’equipaggio della Handala, una nave della Freedom Flotilla Coalition, era pronta per salpare verso Gaza per portare aiuti e rompere l’assedio israeliano. Ma c’è qualcosa di strano. Una corda attorcigliata ben stretta all’elica. “Se il motore fosse partito con quella corda attaccata, avrebbe causato la rottura dell’elica. Per fortuna l’abbiamo notato e siamo riusciti a mandare un sub per rimuoverla e per controllare il resto dello scafo della barca” ha raccontato ad Al Jazeera una delle organizzatrici della Freedom Flotilla, Huwaida Arraf. Per gli attivisti si tratta di “un tentativo di sabotaggio” che si somma a un altro fatto avvenuto poche ore dopo. Dalla nave arriva la richiesta di acqua per riempire le taniche in vista della navigazione nel Mar Mediterraneo. “Ma il camion che ci hanno mandato non trasportava acqua ma acido solforico – racconta Arraf ad Al Jazeera – Per fortuna anche in questo caso l’equipaggio della nave lo ha notato perché alcuni membri hanno ricevuto degli schizzi del liquido corrosivo sulla loro pelle e si sono ustionati. Ma così facendo sono riusciti a evitare che questo liquido entrasse nelle cisterne della nave”. Il rischio, anche in questo caso, sarebbe stato molto grande. “Se le cisterne della nave fossero state riempite con l’acido, non solo la missione sarebbe fallita, ma tante persone si sarebbero potute fare male”.

Per gli attivisti la responsabilità dei sabotaggi è israeliana: “Non è la prima volta che Israele prova a sabotare le nostre missioni attraverso il sabotaggio delle barche – conclude Arraf nell’intervista rilasciata ad Al Jazeera – Israele aveva dichiarato soltanto la settimana prima che stava lavorando per fermare la Handala e per evitare che lasciasse il porto”. E così la Freedom Flotilla Coalition ha chiesto alla comunità internazionale un’indagine indipendente su questi incidenti.

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