Deportare i gazawi in Sud Sudan? Un altro modo di trattare l’Africa come il retro-cortile del mondo
- Postato il 20 agosto 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Mentre Hamas ha accettato l’ultima proposta di cessate il fuoco a Gaza, alcuni paesi africani stanno per diventare il nuovo fronte della “deportazione gazawi”? Chiamiamola col suo nome: l’ennesima tentazione di trattare l’Africa come il retro-cortile del mondo, il posto dove spingere fuori dallo sguardo problemi che altrove non si vogliono gestire.
Stavolta non parliamo di rifiuti tossici o rottami elettronici, ma di persone: i palestinesi che Israele vorrebbe “ricollocare” fuori da Gaza, e i migranti che gli Stati Uniti stanno espellendo con accordi di Paesi terzi. Anche solo il fatto che se ne discuta — che rimbalzino “indiscrezioni” e bozze di accordi — alimenta la percezione di un Occidente che pensa ancora che alcuni paesi africani possano trasformarsi nel contenitore di crisi altrui.
L’Associated Press ha rivelato contatti tra Israele e governi dell’Africa orientale (tra cui Sud Sudan e Somaliland) per ipotizzare lo spostamento di palestinesi fuori dalla Striscia. Subito dopo, a Juba capitale del Sud Sudan è stato firmato un Memorandum of Understanding con una delegazione israeliana: non c’è nessun accordo operativo, si affrettano a smentire le parti, ma Reuters ha confermato che il tema è entrato — almeno come ipotesi — nelle conversazioni diplomatiche. Piovono smentite ufficiali,vero; ma il solo parlare di “ricollocazione” (termine ipocrita) sposta l’asticella del possibile.
Nel mezzo, c’è la benzina gettata dal Financial Times sul caso della società americana Boston Consulting Group che ha elaborato un progetto sulla “rilocalizzazione” (altro termine ipocrita) dei palestinesi in Somaliland. Non è un piano di governo ufficiale, è vero; ma dice che qualcuno negli States stava ragionando operativamente su come spostare, fuori dalla Palestina, una popolazione intera. Non a caso le richieste agli Stati Uniti di riconoscere il Somaliland come nazione indipendente hanno nuovamente preso piede.
E’ la geopolitica di corto respiro che, a ogni giro, conferma l’idea che alcuni paesi africani possano diventare una specie di discarica. Un’idea vecchia, che però ritorna puntuale ogni volta che l’Occidente ha un problema che non sa come raccontare a casa propria.
I governi africani chiamati in causa non sono marionette. Ruanda, Repubblica democratica del Congo, Ciad già nel 2024 hanno bollato come false le voci su trattative per accogliere palestinesi. Il punto, allora, non è demonizzare l’Africa. È smontare lo sguardo che troppo spesso la immagina come terra eternamente disponibile: “spazio vuoto” per i surplus demografici o politici del Nord globale.
Quando quel riflesso coloniale riaffiora — le deportazioni USA oggi, Gaza domani — la reazione africana è quasi sempre la stessa: smentire, prendere tempo, respingere. Ma intanto il messaggio passa: si può pensare di negoziare intorno all’idea di spostare persone come si spostano container. E questo, per chi guarda il mondo dall’Africa, è l’insulto più grande.
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