Dopo sei mesi gli Usa stanno ancora ‘esaminando’ un loro attacco nello Yemen

  • Postato il 3 novembre 2025
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Dell’attacco aereo statunitense del 28 aprile contro un centro di detenzione per persone migranti nello Yemen avevamo già scritto qui. Ma è necessario riparlarne, ora che Amnesty International ha reso nota un’approfondita ricerca – intitolata “È un miracolo che siamo sopravvissuti” – la cui conclusione è inequivocabile: si è trattato di un attacco indiscriminato, dunque di un crimine di guerra.

Il centro era situato a Sa’ada, nel nordovest dello Yemen. Era pieno zeppo di persone migranti, molte delle quali arrestate dalle autorità de facto huthi per ingresso irregolare e in attesa di essere espulse.

Amnesty International ha parlato con 15 sopravvissuti, tutti di nazionalità etiope, e ha analizzato immagini satellitari, foto e video. Grazie alle dichiarazioni raccolte, l’organizzazione per i diritti umani ha potuto risalire ai nomi e all’età di 16 etiopi – tutti uomini intorno ai 20 anni di età – uccisi dall’attacco statunitense.

La ricerca di Amnesty International ha dimostrato che il centro di detenzione per persone migranti non era in alcun modo un obiettivo militare e che non c’erano attività militari in corso all’interno o nei suoi pressi. La struttura era usata da anni per trattenere persone entrate irregolarmente nello Yemen ed era visitata da organizzazioni umanitarie.

Quel centro era stato tra l’altro già colpito, il 21 gennaio 2022, da una bomba statunitense sganciata dall’aviazione dell’Arabia Saudita che aveva causato 90 morti e numerosi feriti. Gli Usa avrebbero dovuto sapere, dunque, di cosa si trattasse.

I 15 sopravvissuti sono stati concordi nel riferire di essere stati svegliati di soprassalto dal rumore di un’esplosione, intorno alle 4 del mattino del 28 aprile. Si sono precipitati verso il cancello d’uscita del centro, scongiurando il personale di guardia di farli uscire. Gli agenti li hanno ricacciati indietro sparando colpi di pistola. Pochi secondi dopo c’è stata una seconda esplosione.

Secondo le autorità huthi, al momento dell’attacco il centro ospitava 117 detenuti di origine africana: 61 sono morti, gli altri sono rimasti feriti. Dei 15 sopravvissuti, 14 si porteranno appresso per tutta la vita le conseguenze di quell’attacco: amputazioni di arti, danni al sistema nervoso, fratture alla spina dorsale e al costato, perdita della vista. All’epoca delle interviste, due mesi fa, nessuno si stava interessando a loro e si curavano grazie ai pochi soldi mandati dalle famiglie in Etiopia.

Il 27 agosto Amnesty International ha scritto al Comando centrale Usa presentando le proprie conclusioni e chiedendo che tipo di valutazione fosse stata fatta per determinare che quel centro di detenzione fosse un obiettivo militare legittimo, dunque attaccabile. È arrivata una replica laconica: “Stiamo esaminando tutte le informazioni relative a danni a civili”, in modo “serio” e “approfondito”.

La ricerca di Amnesty International termina con richieste ben precise: agli Usa di indagare davvero sull’attacco al centro di detenzione per persone migranti di Sa’ada e di rendere pubbliche le conclusioni dell’indagine; alle autorità huthi di spiegare perché il personale di guardia al centro di detenzione non ha fatto defluire all’esterno le persone detenute, che probabilmente si sarebbero salvate.

Le autorità huthi, inoltre, devono fornire ai sopravvissuti all’attacco un permesso di soggiorno temporaneo affinché possano ricevere le necessarie cure mediche senza timore di essere nuovamente arrestate.

[in foto: Sostenitori degli Houthi bruciano le bandiere americana e israeliana durante una protesta a Sana, 22.01.2025 (AP Photo/Osamah Abdulrahman)]

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