Eventi estremi, l’estate 2025 ci è costata quanto il Ponte sullo Stretto

  • Postato il 8 ottobre 2025
  • Ambiente
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Un intreccio di anomalie termiche, precipitazioni irregolari ed eventi estremi: questa, in sintesi, è stata l’estate del 2025 in Italia. Sul nostro paese si è avuta “un’alternanza tra fasi di alta pressione subtropicale africana e improvvisi fronti disturbati, con anomalie di temperature diffuse, scostamenti tra 1,5 e 2,5 gradi rispetto alla media 1991-2020 e una distribuzione delle precipitazioni estremamente eterogenea tra nord e sud”, spiega il rapporto “Estate 2025 in Italia: com’è andata tra caldo estremo, siccità, mare e incendi” della Fondazione CIMA, centro di ricerca senza scopo di lucro che si occupa soprattutto di mitigazione dei rischi da disastri.

Giugno, mese anomalo

Giugno si è distinto con il mese più anomalo: la temperatura nazionale ha infatti registrato un + 3,02 rispetto alla norma, il secondo giugno più caldo dopo il 2003. Luglio ha confermato la tendenza di giugno al sud e sulle isole, mentre al nord si è osservata un’anomalia negativa della pressione in quota che ha mitigato le temperature. Infine, agosto ha visto una grande variabilità: alle condizioni di caldo intenso si sono alternate infiltrazioni di aria atlantica che hanno prodotto episodi convettivi di forte instabilità con nubifragi e grandinate che hanno colpito in modo localizzato ma con effetti intensi. Un’alternanza di caldo prolungato e fronti perturbati che, secondo il Rapporto, “sono il sintomo di un’atmosfera instabile, resa fragile dal riscaldamento globale”.

Temporali, esondazioni e assenza di neve

Alle anomalie meteorologiche si sono accompagnati eventi idrologici di rilievo, che hanno messo in evidenza la vulnerabilità idrica e territoriale: l’esondazione del Rio Frejus a Bardonecchia il, 30 giugno, i violenti temporali del 20 agosto in provincia di Grosseto e sull’isola d’Elba, le precipitazioni intense del 1 e del 21-22 settembre in Liguria, l’esondazione del Seveso a Milano il 22 settembre. “Questi eventi sono stati monitorati anche grazie agli strumenti e ai modelli sviluppati da Fondazione CIMA per il Dipartimento Nazionale di Protezione Civile. Tra le innovazioni più rilevanti figura il nowcasting idrologico, ovvero la previsione a brevissimo termine (nell’ordine di poche ore) della risposta idrologica a eventi meteorologici intensi”, spiega il rapporto.

Anche l’analisi delle soglie pluviometriche ha confermato l’intensità dell’estate 2025. “Gli strumenti di monitoraggio hanno contato 11 eventi estremi di tipo temporalesco e 2 di tipo stratiforme, contro solo 3 eventi totali negli anni passati: un segnale chiaro di intensificazione degli eventi meteorologici estremi”, spiega Giorgio Vacchiano, docente in Gestione e pianificazione forestale presso l’Università Statale di Milano.

La montagna ha offerto un’altra chiave di lettura della stagione. Al nord, le riserve nivali, nonostante un rallentamento della fusione a maggio e giugno, si sono esaurite con circa un mese di anticipo rispetto alla media storica. Ancora più drastica, si legge nel rapporto, la situazione al Centro, dove le persistenti condizioni di scarsità di neve hanno determinato la conclusione della stagione di fusione con due mesi di anticipo, lasciando intere aree senza l’atteso apporto estivo.

Laghi sempre più bassi e mari caldissimi

Gli effetti della siccità si sono manifestati in modo evidente sugli invasi artificiali della Sicilia, monitorati a partire dal 2017 grazie a un servizio satellitare sperimentale sviluppato da Fondazione CIMA e basato sui dati ottici della costellazione Sentinel-2 – S2. Dal 2024 in poi, i laghi hanno registrato quasi sempre trend decrescenti associati ad anomalie negative. Sebbene nel 2025 si siano registrati casi di segnali di risalita nei trend, il quadro complessivo resta critico.

Infine, il mare ha mostrato anche quest’anno un aumento significativo delle temperature superficiali: dai 14 gradi di inizio maggio ai 26,8 di inizio agosto e ai 27,7 di metà agosto. Queste condizioni hanno avuto riflessi molto critici sulla biodiversità, anche se non uniformi.

Incendi: migliora la gestione ma aumentano le superfici

Ulteriore e ultimo tassello del mosaico gli incendi. Alte temperature, siccità prolungata e venti intensi hanno rappresentato condizioni favorevoli all’innesco e propagazione dei roghi. Le anomalie di giugno hanno generato un anticipo della stagione, con un elevato numero di incendi. A luglio invece non si sono registrati incendi particolarmente rilevanti, probabilmente grazie alle abbondanti precipitazioni dei mesi precedenti. Tuttavia, lo stress causato dal caldo di giugno ha portato comunque a un’area bruciata complessiva superiore alla media storica. I fenomeni hanno interessato soprattutto il sud, perché le temperature elevate registrate al nord sono state sempre associata ad elevati valori di umidità (pure se negativi per la salute).

Mitigare e adattarsi è possibile

“Il report Cima”, spiega il climatologo Antonello Pasini, mostra ancora una volta come il Mediterraneo sia un hotspot del cambiamento climatico e, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, non c’è solo un aumento di temperatura media e ondate di calore, ma anche una sorta di pungiball climatico, tra un ‘pugno’ che arriva da sud con anticiclone africano che porta caldo e siccità e un ‘pugno’ che viene da nord quando l’anticiclone si ritira e arrivano le correnti fredde che creano disastri”.

“Il rapporto di Fondazione CIMA sull’estate 2025”, commenta a sua volta Vacchiano, “conferma che la crisi climatica è già tra noi. Ma sappiamo che la situazione può migliorare. Abbiamo già tutte le soluzioni necessarie, sia per mitigare le emissioni sia per adattarci agli impatti. E abbiamo anche le risorse finanziarie: servirebbe un impegno economico paragonabile a quanto oggi spendiamo ogni anno per le spese militari globali. Alla vigilia della COP30, mentre Cina e altri 62 Paesi hanno già presentato nuovi impegni climatici, l’Unione Europea è ferma, frenata da lobby e populismi. Così rischiamo di diventare marginali nella corsa globale verso innovazione e tecnologie pulite”.

Miliardi persi per eventi estremi

C’è in tutto questo anche una questione di costi. “I cambiamenti climatici e il degrado ambientale sono una minaccia diretta alla competitività e alla prosperità dell’Europa, già oggi responsabili di perdite economiche medie annue pari a 44,5 miliardi di euro nel periodo 2020–2023. In Italia questo equivale a 115 euro di danno per persona ogni anno, con un aumento più rapido rispetto alla media europea”, afferma il docente torinese. Ancora più netto sulla questione è climatologo Pasini: “Per l’Italia, le perdite stimate dell’ultima estate sono di 11,9 miliardi di euro per il 2025 e si prevede che raggiungano i 34,2 miliardi di euro entro il 2029. Ciò corrisponde rispettivamente allo 0,6% e all’1,75% del prodotto economico italiano del 2024. Ricordiamoci che 12 miliardi di euro equivalgono a una mezza finanziare o se vogliamo il costo del ponte dello stresso di Messina”.

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Il Fatto Quotidiano

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