Omicidio Cecilia De Astis, ai quattro bambini coinvolti dico: la responsabilità è anche nostra

  • Postato il 14 agosto 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Cari quattro bambini del terreno di via Selvanesco,

ho scelto in questi giorni il rispettoso silenzio del lutto. Per questo ho atteso il funerale di Cecilia de Astis, celebrato oggi, per scrivervi queste parole di dolore e di sgomento per la vicenda che, come una slavina, ha coinvolto la famiglia di Cecilia, voi e le vostre famiglie.

In questi giorni, per tutti noi, siete stati quattro bambini. Questo sì, ha fatto rumore. E lo sdegno per le vostre giovani età sembra aver in parte attutito la portata della tragedia di via Saponaro. Del resto siamo in un mondo di innamorati senza amore, dove ci si commuove dei bambini ma quando crescono ci si ritrova incapaci di pietà per ciò che sono diventati.

Ma finiti i giorni della commiserazione, per le vostre giovani vite e per quelle dei vostri genitori, albeggiano già quelli del giudizio e della condanna. E a questi, dopo il funerale di Cecilia, dobbiamo adesso prepararci.

Fino a ieri non contavate nulla: percorrevate invisibili i marciapiedi delle nostre città; entravate e uscivate dai negozi con i vostri genitori e vedendovi, ci si scansava; i banchi vuoti con i vostri nomi erano già stati accatastati nei magazzini della scuola. Da oggi valete un po’ più di nulla: per i giudici siete un fascicolo, per alcuni politici l’occasione per far rumore, per i giornalisti colonne da riempiere, per tutti noi vicende da commentare sotto un ombrellone, fino alla nuova storia di cronaca. Di certo le vostre vite continuano comunque a valere molto meno di faldoni, giornali, chiacchiere da spiaggia.

Perché viviamo un’epoca dove i figli hanno valore nella misura in cui sanno riflettere le vite dei padri. E gli specchi rovinati da macchie nere e graffi sono impossibili da mantenere, vanno buttati in discarica. Per tutti, per qualche giorno, siete stati quattro bambini. Per nessuno, ad esclusione dei vostri genitori, siete mai stati figli delle nostre città. Per questo dalla nascita abbiamo fatto sì che le vostre vite crescessero lontano dalle nostre case. Per non vedere, per non assumere responsabilità, per non dubitare delle colpe.

Perché le mani su quel volante di quell’auto impazzita sono anche le nostre. Mani insanguinate dall’ipocrisia e dal silenzio, dallo sguardo mancato e dal giudizio facile. Quella macchina in via Saponaro l’abbiamo guidata anche noi. Voi quel maledetto martedì 12 agosto. Noi sempre. Quando come amministratori abbiamo promosso programmi di inclusione, lasciando puntualmente fuori quelli in fondo alla coda; quando come attivisti abbiamo sbandierato i colori della pace nei cortei senza sporcarci le scarpe nel fango una baraccopoli rom; quando come cristiani abbiamo praticato le liturgie della pietà ma scansandoci quando questa prende il corpo di un disgraziato che pensa di fregarci; quando come cittadini accettiamo in silenzio che i nostri territori vengano “bonificati” da cose e persone per poi vedere gli ultimi filtrati, stoccati, scartati… in nome del decoro urbano.

Noi, privilegiati senza merito; voi, sfortunati per colpa. Perché puntare il dito sulle vostre roulotte dalle nostre spiagge è come aggiungere la goccia nell’oceano delle certezze: non lascia dubbi e aiuta a sentire la coscienza tranquilla per addormentarsi senza rimorsi. Perché le notti degli insonni sono terribili!

Assassini non siete solo voi. Lo siamo anche noi tutti, perché oltre ad uccidere Cecilia con la nostra tiepida “neutralità”, abbiamo ucciso dalla nascita le vostre speranze, tranciando le funi del vostro ascensore sociale. Lo hanno fatto i nostri insegnanti, i nostri poliziotti, i nostri assistenti sociali.

La scuola vi ha persi da tempo, perché voi e i vostri genitori non vi ha mai conosciuto. E una scuola che lascia per strada i bambini non è più scuola, è un salotto dove gli ultimi arrivati non potranno mai entrare e chi abita in baracca ha le scarpe troppo insudiciate per essere ammesso.

La ruspa non fa paura: butta giù la baracca e il giorno dopo se ne costruisce un’altra. La relazione di un assistente sociale o la firma di un giudice minorile ti spostano invece su un solco nuovo dell’esistenza, dove nulla sarà come prima.

Ci sono momenti nei quali solo chi abita le vostre roulotte avrebbe il diritto di parlare, mentre chi legge e studia farebbe bene a stare zitto. Ma da tempo vi abbiamo tolto l’ultimo dei diritti rimasti: la voce, soffocandola con le nostre certezze, creando, in laboratorio, una rara forma di afonia, la malattia degli esclusi.

Forse poveri e disgraziati non siete veramente voi, cari bambini di via Selvanesco. Perché alla fine alla povertà e alle disgrazie ci avete fatto il callo. Poveri e disgraziati siamo noi, uomini e donne inconsapevoli, condannati all’infanticidio perché incapaci di essere padri e madri dei bambini che abitano le nostre città, riconoscendoli come nostri figli, ombre che hanno smarrito la misura vera delle cose, sostituendo il giudizio alla misericordia, la cecità allo sguardo profondo, la sommaria condanna alla comprensione, l’interesse personale al bene comune. Incapaci come siamo di toglierci le scarpe e scambiarle, almeno per un giorno, con le vostre.

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Il Fatto Quotidiano

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