Quarant’anni senza Julian Beck, cofondatore del Living Theatre

  • Postato il 10 settembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Se c’è una figura che può simboleggiare da sola l’insieme di tensioni che spinse molti artisti, negli anni intorno al ’68, a mettersi al servizio della causa rivoluzionaria, senza peraltro abdicare in quanto artisti, anzi cominciando proprio dalla trasformazione sovversiva delle loro pratiche, quello è sicuramente Julian Beck, cofondatore, con Judith Malina, del leggendaria compagnia americana del Living Theatre. Di lui ricorrono nel 2025 due anniversari: i cent’anni dalla nascita e i quarant’anni dalla morte.

In particolare, nel teatro del secondo dopoguerra, a mio parere, non c’è stato nessun altro che abbia incarnato fino in fondo questa “missione” dell’artista nella società contemporanea, come ha fatto lui, con una determinazione e una generosità al limite del sacrificio di sé.

Ciò detto, quando si parla del Living Theatre è sempre molto difficile separare il contributo di Julian Beck da quello di Judith Malina (1926-2015), sua compagna di vita e d’arte per oltre quarant’anni. Se lui veniva dall’ambiente delle arti visive (fu legato al movimento dell’espressionismo astratto), pur avendo nutrito una passione per il teatro fin da piccolo, lei invece aveva studiato a New York con il regista Erwin Piscator, uno dei padri del teatro politico novecentesco.

Judith incarnò l’anima razionale e ideologica del gruppo (non a caso fu quasi sempre lei a coprire il ruolo di regista, finché non venne cancellato in favore della creazione collettiva alla metà degli anni Sessanta).

Julian (che curava scenografia e luci) ne incarnò piuttosto l’anima poetica e teorica insieme. Molto interessante è infatti il modo in cui nei suoi testi le due si mescolano: la poesia è la forma che spesso prendono le sue elaborazioni teoriche. Come in Artaud e anche in Brecht, non a caso due riferimenti imprescindibili per il Living.

Nonostante entrambi abbiano scritto e pubblicato molto, sono soprattutto gli scritti di Beck a scandire le fasi più importanti del percorso del gruppo, i cambiamenti, le crisi, i rilanci.

Penso al testo Assalto alle barricate, che nel 1964 propose un lucido bilancio (non privo di rilievi autocritici) dell’intero viaggio del gruppo dai difficili inizi alla svolta di The Brig (1963), il durissimo spettacolo di denuncia contro le prigioni militari americane che li consacrò definitivamente, rendendoli però invisi al sistema tanto da essere costretti a esiliarsi in Europa per oltre quattro anni.

Penso all’articolo Teatro e rivoluzione (pubblicato nel maggio 1968), dove, nell’imminenza del debutto avignonese di Paradise Now, Beck prefigura il superamento del teatro come spettacolo e il passaggio all’azione diretta.

Penso al libro La vita del teatro, del 1972, che raccoglie 123 frammenti di lunghezza e indole molto diversa. L’autore vi traccia un bilancio della stagione sessantottesca a Parigi, e dei suoi prolungamenti nel lungo soggiorno brasiliano, a lavorare nelle favelas delle metropoli, conclusosi con l’arresto e la scarcerazione dopo due mesi, grazie a una campagna di stampa internazionale.

E’ in Brasile che viene concepito il grande progetto L’eredità di Caino (che prevedeva all’inizio ben 150 opere), al quale egli non smetterà di lavorare fino alla morte prematura. Ad esso appartengono i più importanti spettacoli di quel decennio: Sette meditazioni sul sadomasochismo politico, Sei Atti Pubblici e La torre del denaro, presentati anche alla Biennale di Venezia del 1975.

In quegli anni il Living si rifiuta di recitare nei teatri, tenendo fede alla scelta di portare le loro azioni in strada, negli spazi degli scontri, per affiancare scioperi e occupazioni, e nei luoghi della marginalità, dalle carceri agli ospedali psichiatrici.

Tuttavia, consumatesi le novità abbaglianti degli spettacoli degli anni Sessanta, da Mysteries a Frankenstein, ad Antigone (straordinaria coralità degli attori come corpo collettivo, gestualità e vocalità esasperate, improvvisazioni, scenografie corporee, interpellazioni del pubblico), fino all’esplosione di Paradise Now, un grande rituale che invitava gli spettatori a entrare nella rappresentazione, il decennio successivo vede un deciso calo dell’attenzione del pubblico e della critica.

Ma questo non scoraggia Julian e Judith, anche se certo li amareggia. Saldi nella loro incrollabile fede anarco-pacifista, e nella missione di cui si sentono investiti, essi rilanciano sul finire degli anni Settanta, ritornando nei teatri con la ripresa di Antigone e con nuovi lavori, che sembrano segnare un ritorno a certi interessi delle origini per le avanguardie storiche, il surrealismo in particolare (The Yellow Methuselah, di Hanon Reznikov, e l’ultima creazione di Beck, The Archeology of sleep).

Theandric, uscito postumo nel 1992, è il libro (un collage di frammenti come il precedente) a cui Julian lavorò furiosamente negli ultimi anni, fin sul letto di morte. La pagina finale parla del teatro che avevano in programma di aprire a New York.

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Il Fatto Quotidiano

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