Quarto Camurri, la storia dell’ottavo partigiano fucilato insieme ai fratelli Cervi: “Perseguitato perché distribuiva giornali e rifiutava la camicia nera”

  • Postato il 25 aprile 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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È una delle albe più famose della storia della Resistenza, eppure spesso ce ne dimentichiamo un pezzo. O meglio, un volto. È il 28 dicembre 1943, siamo al Poligono di Tiro di Reggio Emilia e i fascisti fucilano tutti e sette i fratelli Cervi, famiglia che ha fatto la storia della lotta partigiana in Italia. Come racconta papà Alcide, quella mattina i sette rifiutano la confessione di Don Stefano: “Perché non abbiamo niente di cui pentirci”. E in pochi minuti vengono ammazzati dai colpi del milite “che si faceva chiamare Vulcano”: sono Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio, Ettore. Ma non solo. Quella mattina i proiettili, i cui segni per anni resteranno sulle mura come cicatrici, colpiscono a morte anche un altro giovane. Si chiama Quarto Camurri, ha 22 anni ed è nato a Guastalla, paese della bassa emiliana che si affaccia sul Po. “La mamma raccontava che quando gli dissero di voltarsi verso il muro si rifiutò, perché voleva guardare negli occhi chi lo stava ammazzando. Perché lui era così, non voleva accettare di piegarsi”, racconta oggi a ilfattoquotidiano.it la nipote Catia Camurri. “C’era anche lui quel giorno e per tanti anni non è stato ricordato. Mio padre si arrabbiò moltissimo per questo e si batté con i suoi fratelli perché fosse riconosciuto anche il suo sacrificio”.

Camurri, oggi celebrato a livello locale, è il nome che spesso salta per primo dalle cronache nazionali. Se ne accorse già l’Unità nel 1954 che, in un trafiletto, scrisse: “Quando viene ricordato l’eroico sacrificio dei sette fratelli Cervi, le cronache dei giornali sebbene con non molta evidenza parlano anche di un certo “Camurri”. Crediamo opportuno, sia pure brevemente, illuminare la figura di quest’altro figlio del nostro popolo”. Le poche righe si chiudevano con un appello: “Ai sette martiri è doveroso quindi aggiungere l’ottavo: il patriota Quarto Camurri”. Perché la fucilazione dei figli di papà Alcide distrugge un’intera famiglia, ma al tempo stesso si impone come una tappa fondamentale della Resistenza. E’ un punto di fine, ma anche di partenza. E dare un volto a chi c’era, è molto più di un atto di memoria.

Camurri nasce nel 1921 nel paese che molti di voi avranno visto nelle immagini del film “Novecento” di Bertolucci. Figlio di Vincenzo e Antonietta Ledi, è l’ultimo di sei figli. La sua casa si trovava nella piazza che ora porta il nome di Giacomo Matteotti, ma che allora era piazza del Littorio. In paese, è semplicemente la piazza del “Campanòn”, perché lì sorge la torre civica con le campane (quelle che il 23 aprile del 1945 suonarono a festa per la Liberazione) e l’orologio. Tre anni fa, proprio lì e grazie all’Anpi locale, è stata messa una stele che ricorda Camurri e la sua storia. Della sua infanzia troppo breve c’è solo una foto: scattata quando ha 17 anni, lo immortala con gli amici e il cartello scritto a mano “la squadra volante sempre a ragione”. L’acca si è persa per strada, ma in compenso spiccano la sigaretta in bocca a mo’ di posa di Quarto e gli sguardi spavaldi di chi della vita ha visto solo l’inizio. C’è ancora, in quello scatto, qualcosa che lascia intravedere la spensieratezza. Poco dopo, la guerra convoca Quarto ed è costretto ad arruolarsi nell’esercito in Sicilia. Al Nord torna dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e, a quel punto, sceglie di non unirsi alla milizia nazifascista della Repubblica Sociale Italiana. Rientra a casa e si mette a distribuire giornali. “Lo fa per guadagnare qualcosa, ma anche perché quello che doveva dare alla patria nell’esercito lo aveva dato”, spiega Catia Camurri. “Era troppo contrario al regime e non voleva saperne niente. E chissà forse, sceglie i giornali anche perché amava scrivere. Una delle sorelle conservava una sua poesia, ma purtroppo non l’abbiamo più trovata. E sì che l’abbiamo cercata ovunque”. Il suo essere contro si manifesta anche con gesti pubblici e, fin dall’inizio, si rifiuta di indossare la camicia nera. “Per questo”, racconta ancora la nipote, “i fascisti lo andavano a cercare e lo picchiavano”. Non una, ma due, tre, dieci volte. E i fratelli, più grandi, iniziano a preoccuparsi. “Stava rischiando molto perché era tra l’altro molto minuto, ma non ne voleva sapere di accettare la camicia nera. E allora, in famiglia si dice che furono proprio i miei zii a decidere di portarlo dai Cervi”.

L’incontro con la famiglia di contadini antifascisti e partigiani avviene nell’autunno del 1943. “Mia nonna era molto preoccupata”, dice ancora Camurri. “Perché se da un lato pensavano che lo avrebbero protetto, sapeva chi erano i Cervi e che era pericoloso associarsi a loro. Però aveva preferito andare lì piuttosto che stare ancora a nascondersi”. I sette Cervi hanno preso le armi dopo l’armistizio e il loro podere dei Campirossi a Campegine, poco distante da Reggio Emilia, è diventato rifugio per militanti e fuggiaschi. Sono una famiglia rivoluzionaria perché insieme ai campi e alla militanza coltivano l’istruzione come strumento per l’emancipazione di tutta la comunità: sono loro a prendere uno dei primi trattori e a metterci sopra un mappamondo. “Perché Stalin aveva detto: studiate la situazione internazionale”, spiega Alcide Cervi nel libro “I miei sette figli”. E perché, come dirà lo stesso padre poi, “dopo un raccolto ne viene un altro” e guardare oltre è il segreto di tutto. Sono sempre loro a celebrare quella che credevano la fine del fascismo, il 25 luglio del 1943, distribuendo la pastasciutta a tutto il paese. A questa gente si unisce Camurri. “Un bravo ragazzo”, scrive ancora papà Cervi nel libro. E il guastallese, insieme a loro, viene arrestato il 25 novembre, dopo che i fascisti appiccano il fuoco al podere. Sono ore drammatiche, ricostruite poi dai testimoni e tramandate fino a oggi. “La mia nonna”, continua Catia Camurri, “raccontava che andò in prigione a trovarlo. Che gli portò da mangiare perché là non davano praticamente niente. E lui le diceva: mamma, vedrai che da qui non usciamo. Lei non ci voleva credere. Ancora ci sperava che si sarebbe salvato”. Il 27 dicembre però, viene ucciso il segretario di Fascio del comune reggiano di Bagnolo in Piano. E come rappresaglia, i fascisti decidono che devono avere vendetta e puntano a ucciderne dieci “come avevano imparato dai tedeschi”, scrive sempre Alcide. Ma “qualcuno suggerisce l’idea: fuciliamo i sette fratelli Cervi. E si decide così”. I sette più uno, Quarto Camurri. Che è morto con loro, ma è stato ricordato un po’ meno degli altri.

“All’inizio”, spiega Claudio Malaguti, esponente dell’Anpi di Guastalla e figlio del celebre partigiano James Malaguti (nome di battaglia Smith), “venne trascurato anche a causa degli interrogatori subiti dai fascisti in carcere, dove poteva sembrare che avesse paura o che si fosse pentito. Era normale quando venivi catturato. L’Istituto Cervi ha pienamente valorizzato la sua figura e, dopo tutte le discussioni, esce nitida. Pulita”. Malaguti risponde al telefono poco dopo aver incontrato una scolaresca e averli portati proprio nella piazza dove sorge la stele per Camurri. “Quest’anno, con tutte le iniziative fatte, incontreremo più di 2700 tra studenti e studentesse”, dice. “Parlare a loro è fondamentale e ancora di più farlo con gli esempi. Io racconto del nostro concittadino, della lotta di popolo contro la dittatura fascista. E ricordo che la Costituzione ha le radici nella Resistenza. Quindi cito le parole di mio padre che diceva sempre: una conquista fatta una volta, non è fatta per sempre”. E quella stele per Quarto Camurri, voluta dall’Anpi nella piazza del Campanòn, è rivolta soprattutto alle nuove generazioni. Così come la mappa digitale dei luoghi della Resistenza, realizzata in occasione degli 80 anni dalla Liberazione e che aiuta a contestualizzare fatti e storie. “La Resistenza è stato un momento unitario di lotta fatta per superare il ventennio fascista e ripristinare le condizioni di libertà”, chiude Malaguti. “Ai giovani ricordiamo che la Costituzione, nata da quelle battaglie, contiene tutto: la memoria della Resistenza, i diritti, la legalità, la pace. C’è tutto lì dentro”. Ricordare chi si è battuto in quegli anni, vuol dire dare un nome a chi è venuto prima. Ma soprattutto far sopravvivere il significato delle sue lotte. Come il no alla camicia nera di Quarto Camurri che distribuiva i giornali, amava scrivere ed è morto troppo giovane, fucilato insieme ai sette fratelli Cervi.

*Foto di Catia Camurri e Anpi Guastalla

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