Riparte la caccia ai fringuelli e si estinguono sempre più insetti: servirebbe un approccio più biocentrico
- Postato il 12 ottobre 2025
- Ambiente
- Di Il Fatto Quotidiano
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di Giovanni Barcheri
Mentre San Francesco diviene patrono nazionale, si approva la caccia ai fringuelli sui valichi alpini; ma già da tempo il nuovo dogma confezionato per le masse è solo quello del profitto: l’Ue vieta i pesticidi pericolosi ma ne esporta il doppio rispetto a 7 anni fa e in pianura padana si finge il “green” con la pioppicoltura intensiva nelle aree demaniali lungo i fiumi unicamente per le filiere del legname, sottraendo ancora più spazi vitali alla biodiversità laddove essa trova gli ultimi rifugi.
Da circa mezzo secolo con le lucciole iniziavano già a scomparire tutti gli altri insetti (farfalle diurne, falene, bombi), flora spontanea e piccoli vertebrati (rane, tritoni, bisce d’acqua, pipistrelli ecc.). In moltissimi luoghi del Paese, l’edificio complesso di svariati ecosistemi naturali fu spazzato via in pochi decenni da urbanizzazione selvaggia, industrializzazione e da una agricoltura sempre più dipendente dalle multinazionali di fitofarmaci. Questo stravolgimento epocale è avvenuto pressoché inosservato.
Con la scomparsa delle api si cita solo la punta visibile dell’iceberg e non quella più ampia che rimane sommersa. Eppure percorrendo molte strade campestri non vediamo più gli insetti impattare sui cristalli delle auto e neppure dobbiamo evitare di schiacciare le giovani rane appena trasformate dalla metamorfosi. Sono molti gli esseri viventi intorno a noi che sono scomparsi. Ma anche, come ha evidenziato il missionario entomologo Giovanni Onore studiando le larve di alcune specie di coleotteri (Cervi volanti) sulle Ande dell’Ecuador e del Perù, il riscaldamento globale, che ha già causato il ritiro dei ghiacciai e estinzioni catastrofiche di anfibi, provocherebbe la perdita di biodiversità ed altre estinzioni.
Ci mancano oramai anche i voli notturni di spettacolari specie di falene attratte dalle illuminazioni. Se durante il XIX e XX secolo l’entomologo trascorreva le notti con lampade a gas poste di fronte a teli bianchi per conoscere e collezionare falene per riempire le teche dei musei di Storia Naturale, oggi non avrebbe più alcuna possibilità. Embè? Tutto qui il problema? La scomparsa di così tante specie rappresenta la perdita di tasselli fondamentali per gli ecosistemi i quali vanno disgregandosi nell’indifferenza e il conto pesante sarà un debito anche per la specie umana, dopo la cancellazione delle altre forme viventi. Se in Spillover, il libro con cui David Quammen preconizzò il Covid con dieci anni di anticipo, vi è il monito a rispettare gli ecosistemi naturali evitandone la devastazione, mi pare riduttivo ipotizzare con la sparizione degli esseri viventi non umani solamente un pianeta più triste e brutto.
Nel novembre 2026, la sonda Voyager 1 raggiungerà un traguardo senza precedenti: la distanza percorsa dalla luce in 24 ore, pari a circa 25,9 miliardi di chilometri e già ha mostrato la nostra casa, la Terra, come un piccolo puntino blu sperduto nel buio cosmico, da cui non avremo minime speranze di sfuggire in un futuro immediato. La nostra presenza nell’Universo potrebbe non avere più significato di come abbiamo fatto sparire nell’indifferenza gli altri organismi animali e vegetali; un punto di vista meno antropocentrico e più biocentrico assai ci manca, ma potrebbe fare la differenza.
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