A ottant’anni da Hiroshima, l’umanità è sull’orlo dell’abisso: rispondiamo alla follia con la coscienza

  • Postato il 6 agosto 2025
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Furono 43 i secondi che la bomba atomica denominata Little Boy, sganciata dall’Enola Gay alle 8.15 del 6 agosto 1945, impiegò per cadere ed esplodere a 600 metri d’altezza spazzando via la città giapponese di Hiroshima e ipotecando il futuro dell’umanità. Tre giorni dopo l’oscena discesa si replicò a Nagasaki. Nei giorni successivi i piloti che avevano partecipato ai due inediti crimini di guerra furono festeggiati come eroi degli Stati Uniti. Si sottrasse solo l’ufficiale meteorologo Claude Eaterly che aveva fatto il volo preliminare di ricognizione per verificare le condizioni del cielo sopra Hiroshima, dando il via all’operazione criminale.

Eaterly, in preda al rimorso per le conseguenze della sua azione, della cui dimensione apocalittica prima non aveva cognizione, finirà i suoi giorni – lui, anziché i mandanti – costretto in un manicomio militare. Il suo tormento, reso noto al mondo anche attraverso il carteggio epistolare con il filosofo Günther Anders, verrà a conoscenza di un gruppo di ragazze di Hiroshima sopravvissute alla bomba, che gli inviarono una lettera.

“Le scriviamo questa lettera – scrivevano le ragazze nel 1959 – per assicurarle che non nutriamo alcun senso di ostilità verso di lei. Forse le avevano ordinato di fare ciò che ha fatto, o pensava di aiutare la gente ponendo fine alla guerra. Ma lei sa che, su questa terra, le guerre non finiscono con le bombe. (…) Le auguriamo di riprendersi presto e completamente e di unirsi a coloro che si dedicano alla buona opera di abolire la barbarie della guerra nello spirito della fratellanza”. Claude Eaterly non si riprese affatto e fu fatto sparire dalla circolazione, in quanto la sua coscienza inquieta metteva in crisi la pacificazione dell’opinione pubblica su quei crimini mostruosi, mentre il governo Usa aveva avviato la corsa agli armamenti nucleari con l’Unione Sovietica.

Da allora in avanti il mondo fu più volte sull’orlo dell’abisso nucleare, salvato non dall’illusorio potere della deterrenza ma da altre coscienze inquiete che – ormai consapevoli del pericolo per la sopravvivenza stessa dell’umanità – si sottrassero agli automatismi della follia. Come il tenente colonnello russo Stanislav Petrov che la notte del 26 settembre 1983 era di turno ai monitor che sorvegliavano lo spazio aereo sovietico, quando si accesero cinque allarmi: significava che un grappolo di missili nucleari Usa erano in arrivo. Il protocollo prevedeva l’immediato contrattacco massiccio da parte sovietica, che avrebbe provocato un altrettanto massiccia risposta statunitense. Eravamo nel pieno della “guerra fredda” e solo 25 giorni prima era stato abbattuto un jumbo jet coreano con 269 persone a bordo entrato nello spazio aereo dell’Urss. Petrov, invece, non seguì il protocollo, usò la coscienza anziché la procedura, pensò che si potesse trattare di un’avaria del sistema e non avviò il dispositivo di risposta. Salvò l’umanità ma non ebbe alcuna medaglia, fu accantonato e dimenticato.

Oggi, ottant’anni dopo Hiroshima e Nagasaki, siamo a soli 89 secondi dalla mezzanotte nucleare nell’Orologio dell’apocalisse che, da allora, monitora la danza macabra dei governi intorno al totem della bomba atomica. Le reciproche minacce di escalation nucleare tra Trump e Putin, che viaggiano con le rispettive valigette nucleari al seguito, confermano l’altissimo livello di rischio in corso: oltre dodicimila testate nucleari, tra le quali diverse migliaia pronte ad essere lanciate immediatamente, ipotecano il futuro della vita umana sulla terra. Eppure, grazie alla mobilitazione della società civile internazionale con la campagna Ican-International Campaign to Abolish Nuclear Weapons, Premio Nobel per la pace 2017, oggi le armi nucleari sono vietate dal Trattato internazionale che le ha messe al bando.

Il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (Tpnw), in vigore dal 2021, ne vieta specificamente l’uso, lo sviluppo, i test, la produzione, la fabbricazione, l’acquisizione, il possesso, l’immagazzinamento, il trasferimento, la ricezione, la minaccia di usare, lo stazionamento, l’installazione o il dispiegamento. Ma non solo le potenze atomiche non hanno sottoscritto questo Trattato; non lo hanno fatto neanche i diversi governi italiani, nonostante le basi Nato e Usa sul nostro territorio vedano la presenza del maggior numero di testate nucleari statunitensi in Europa, sottratte al controllo democratico. Facendo dell’Italia primario target nucleare.

La strada per uscirne è ancora una volta indicata da un ex bambino di Hiroshima, Terumi Tanaka, sopravvissuto alla bomba, nel ricevere il Premio Nobel per la pace 2024, a nome di Nihon Hidankyō, l’organizzazione giapponese delle vittime delle bombe atomiche, gli hibakusha: “Desideriamo che nasca la convinzione che le armi nucleari non possono e non devono coesistere con l’umanità, che questa convinzione si radichi saldamente tra i cittadini del mondo, soprattutto tra quelli degli Stati dotati di armi nucleari e dei loro alleati, e che sia una forza per cambiare le politiche nucleari dei loro governi. Che l’umanità non si autodistrugga con le armi nucleari! Lavoriamo insieme per una società umana mondiale senza armi nucleari e senza guerra!”. Una società di umani capaci di rispondere con la forza della coscienza al dispiegamento della follia.

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Il Fatto Quotidiano

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