Al Festival dell’accoglienza di Torino viene voglia di credere che la speranza stia mettendo radici

  • Postato il 13 ottobre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Diamo davvero troppo poco peso all’intreccio fra l’aspirazione a un mondo migliore e la ricerca della tranquillità di vita. Siamo anche baloccati fra la convinzione che vivere in armonia si può – perfino con colori e passati variopinti – e la paura del nuovo e del diverso; fra lo scoramento di un impegno collettivo, che sembra produrre solo melonismo, e la soddisfazione dei buoni risultati degli slanci individuali, che danno sollievo a chi ne beneficia. Gli slanci individuali qualche volta si convogliano nel volontariato, altre volte servono a generare quello scrupolo aggiuntivo nell’esercizio delle nostre funzioni di lavoratori, vicini di casa, genitori e nonni, che rende più semplice e la vita dei nostri interlocutori.

Il 16 settembre scorso ha preso il via a Torino l’edizione 2025 del Festival dell’Accoglienza promossa dalla Pastorale Migranti della Diocesi torinese con decine di sponsor. Il tema di quest’anno è “La speranza è una radice”. Impossibile dare conto delle iniziative perché sono tantissime, varie e diffuse nella città.

Questa edizione si concluderà il 31 ottobre, dunque 45 giorni di attività intensissima, di incontri, di riflessioni e di conoscenza. Ciò che colpisce è che non c’è appuntamento (ce ne sono 2/3 al giorno) che non sia gremito di persone. Sono stato relatore in un incontro – “Il tabù del futuro…” – e mi ha impressionato lo slancio e la passione con cui oltre cento persone hanno seguito i discorsi e i ragionamenti proposti. Ho anche partecipato a iniziative che pensavo “di nicchia”, smentendomi clamorosamente e meravigliandomi ogni volta per la passione e la varietà dei contributi proposti. Parecchi i giovani, accanto a volontari e curiosi a comporre un pubblico che esprime voglia di cambiamento, di impegno e di giustizia, desideroso di imparare, conoscere, sapere, interrogarsi.

Atei impenitenti, laici scettici, credenti di varie religioni animati dallo slancio supplementare della fede, viene voglia di credere che davvero la speranza stia mettendo radici. Ma non bisogna farsi illusioni e continuare a lavorare per costruirla, la speranza.

Due giorni prima ero stato a curiosare alla festa di un progetto di cohousing davvero straordinario (ne ho raccontato qualche tempo fa nel post: “Diritto alla casa, qualcosa si muove…”). Sono piombato in uno di quei film americani trasudanti ottimismo e serenità: mancavano solo i balletti, il resto c’era. Parlo della festa di compleanno di Luoghi Comuni a San Salvario di Torino: 10 anni di un esperimento di coabitazione e di residenza temporanea preso a modello da importanti realtà europee. Il quartiere è conosciuto per la multietnicità, la movida e le centinaia di locali da cui i clienti strabordano sui marciapiedi e nelle strade con lamentele dei residenti, a volte per situazioni critiche di ordine pubblico, per il Tempio Valdese, per la Sinagoga, perché dalla sede Fiat di corso Marconi partivano le direttive che governavano Torino e Italia e per tanto altro ancora.

Proprio davanti alla Sinagoga c’è Luoghi comuni, 24 appartamenti ricavati dalla ristrutturazione di un convento e gestiti fin dal debutto del progetto dalla Cooperativa Atypica, coniugando la sostenibilità umana con quella economica. Per festeggiare i 10 anni una giornata indimenticabile: gli inquilini hanno aperto (a volte sconvolto) le loro case alle decine di ospiti arrivati per un pranzo – “Vieni su che è pronto” – davvero conviviale preparato da loro (per i più giovani, supervisione dei volontari e degli operatori di Atypica).

La mattina marionette e burattini per i bambini nel cortile della scuola materna che sta al piano terreno, proprio accanto al ristorante siriano che ha offerto l’aperitivo a tutti gli ospiti e ai visitatori, compreso quelli occasionali attratti dalla musica e dai bambini che giocavano in strada. Pomeriggio con “Musiche e racconti nelle case”, spettacoli musicali, teatrali, performances e altro nei soggiorni degli appartamenti appositamente sgomberati per fare spazio agli ospiti. Per concludere con un concerto dai balconi. Una bella giornata, un bel posto, bella gente e begli esempi di cosa si potrebbe fare e di cosa i giornali potrebbero raccontare se la smettessero di nutrirsi di veline e spedissero qualche cronista in giro per notizie (il programma della giornata è qui).

Una settimana di speranza, dunque. Pensavo agli studentati d’oro che crescono come funghi, così facciamo finta che il problema della casa per i giovani si vada risolvendo semplicemente titillando il mercato e stressando i piani regolatori con “varianti alla milanese”. Si finge che lo scambio di esperienze sia solo una fisima da cattocomunisti, che il problema dell’abitare e dell’integrazione sia solo una questione di mezzi economici e di “mercato”.

Nonostante l’impegno a smantellare tutto il welfare, il volontariato resiste. Quello che manca è la politica che non riesce a dare uno sbocco a tanta disponibilità per andare oltre le iniziative caritatevoli e solidaristiche di cui si occupa (e per fortuna) il volontariato.

Serve che la politica metta in fila i problemi ed elabori obiettivi che prevedano il superamento delle condizioni che generano disagio. Sono ampiamente note, ma se si pensa solo a vincere elezioni per piazzare questo o quella, le priorità saranno sempre altre.

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Il Fatto Quotidiano

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