Allarme incendi: ritardi e miopia bruciano l’Italia insieme agli inneschi. La politica? Tappabuchi legata solo all’emergenza

  • Postato il 30 luglio 2025
  • Ambiente
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Elevata frammentazione delle competenze, mancato aggiornamento dei Piani antincendio boschivo che, comunque, non tengono conto dei rischi maggiori che derivano dai cambiamenti climatici. I dati sui roghi, in Italia (e in Europa), mostrano l’inefficacia di un approccio basato sull’emergenza estiva. Con una media di più di oltre tre incendi al giorno, nei primi sette mesi del 2025 sono andati in fumo in 653 incendi quasi 31mila ettari, un’estensione pari a quella di 43.400 campi da calcio. Chi sta bruciando l’Italia? Di chi è la colpa? Non solo ecomafie e piromani, ma anche le difficoltà a fronteggiare nuove sfide e diversità del territorio, che si aggiungono alla perdita della tradizionale conservazione in molte aree abbandonate. Lo racconta Legambiente nel recente report ‘L’Italia in fumo’, per cui sono stati analizzati e rielaborati i dati dell’European Forest Fire Information System. Dei circa 31mila ettari di territorio bruciati nel 2025, oltre 18mila hanno riguardato ettari naturali (ossia aree boscate), quasi 13mila aree agricole, 120 ettari aree artificiali e 7 ettari aree di altro tipo. E poi ci sono situazioni estreme, come quella del Parco nazionale del Gargano, dove nei giorni scorsi un rogo ha devastato l’Oasi Lago Salso. Ma la gestione degli incendi non riguarda solo l’Italia. In queste ore, il Wwf ricorda che l’Europa meridionale è sotto assedio: decine di persone hanno perso la vita tra le fiamme e migliaia sono state evacuate da villaggi in Turchia, Grecia, Cipro, mentre in Sardegna, Calabria, Puglia e Sicilia si sono già sviluppati migliaia di roghi, alcuni dei quali stanno provocato inestimabili danni ambientali. Non solo a Lago Salso, ma anche a Caulonia (Reggio Calabria), Villasimius (Cagliari) e presso la Riserva dello Zingaro, a Trapani.

Gli incendi nel 2025: Sud e Isole sono le aree più colpite – Dall’inizio dell’anno e fino al 18 luglio, stando ai dati di Legambiente, sono sei le regioni meridionali in cima alla classifica per ettari bruciati. Maglia nera alla Sicilia, con quasi 17mila ettari bruciati in 248 roghi. Seguita da Calabria, con 3.633 ettari in 178 eventi incendiari, Puglia con 3.622 ettari in 69 eventi, Basilicata con 2.121 ettari in soli 13 roghi (con la media ettari per incendio più alta: oltre 163), Campania con 1.826 ettari in 77 eventi e la Sardegna con 1.465 ettari in 19 roghi. Tra le regioni del Centro e Nord Italia ci sono il Lazio (settimo in classifica) con 696 ettari andati in fumo in 28 roghi e la Provincia di Bolzano (ottava) con 216 ettari in 3 roghi e la Lombardia. Preoccupano anche gli incendi scoppiati in aree naturali. Su quasi 31mila ettari di territorio bruciati, oltre seimila hanno riguardo aree Natura 2000 in 198 roghi. “Per contrastare gli incendi boschivi – spiega Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – non basta concentrarsi sull’emergenza estiva o su singole cause, ma è fondamentale adottare un approccio integrato che integri prevenzione, rilevamento, monitoraggio e lotta attiva”.

Le leggi contro gli incendi e la frammentazione delle competenze – La legislazione nazionale è basata principalmente sulla norma 353 del 2000, la “Legge-quadro in materia di incendi boschivi”. Del 2021, poi, la legge 155 che mira a potenziare previsione, prevenzione e lotta agli incendi boschivi. I piani regionali, però, sono strumenti operativi essenziali e la stessa legge del 2000 prevede, oltre alla predisposizione di piani specifici per le aree protette statali, anche sezioni dedicate alle aree naturali protette regionali. “In Italia, il sistema di tutela della natura comprende le aree naturali protette riconosciute da leggi nazionali o regionali, e iscritte nell’Elenco ufficiale aree naturali protette (Euap) e le aree della Europea Rete Natura 2000 (Rn2000)” ricorda Legambiente. Nel primo elenco ci sono Parchi nazionali, Parchi naturali regionali, Riserve naturali regionali e statali e altre aree naturali protette. La Rn2000, istituita dalle Direttive Habitat e Uccelli dell’Ue, comprende esclusivamente le Zone speciali di conservazione (Zsc) e le Zone di protezione speciale (Zps). Legambiente sottolinea che queste categorie si sovrappongono ampiamente e altre aree protette come le Zone Umide Ramsar e la Rete Nazionale dei Boschi Vetusti possono rientrare in entrambe le classificazioni. Le conseguenze? “La frammentazione delle competenze tra Stato, Regioni ed enti locali, spesso sovrapposte e non sempre coordinate – spiega a ilfattoquotidiano.it Antonio Nicoletti, responsabile nazionale aree protette di Legambiente – rappresenta un punto debole intrinseco, rallentando l’attuazione di strategie integrate e a lungo termine. Questa complessità burocratica si riflette anche nella difficoltà di garantire una gestione del territorio omogenea e capillare, dove la cura del bosco e la pulizia del sottobosco, elementi chiave della prevenzione, non sempre ricevono l’attenzione necessaria”.

I ritardi dei Piani antincendio boschivo – Nel dossier si approfondisce il tema dei ritardi d’attuazione dei Piani antincendio boschivo (Aib) che, proprio la legge 353, impone di approntare per le aree naturali protette, nazionali e regionali. Per le aree protette regionali sono le regioni a prevedere una sezione specifica, definita di intesa con gli enti gestori. Per i parchi nazionali e le riserve naturali statali è predisposto un apposito piano dal Mase, d’intesa con le regioni, su proposta degli enti gestori, sentiti carabinieri forestali e dai vigili del fuoco. Questo piano, poi, costituisce un’apposita sezione del piano regionale Aib predisposto dalle singole regioni. Secondo gli ultimi dati disponibili sul portale del Mase, però, aggiornati al 31 dicembre 2024, su un totale di 24 Parchi nazionali sono appena otto quelli che dispongono di un Piano Aib vigente, avendo completato l’intero iter di adozione, con l’inserimento nei Piani Aib regionali e l’emanazione del decreto ministeriale di adozione. Undici sono quelli con un Piano Aib approvato dall’ente gestore, ma l’iter di adozione non è ancora concluso. In alcuni casi, i piani non sono conformi e sono in fase di rielaborazione, in altri sono in attesa del parere del Comando unità forestali, ambientali e agroalimentari dei carabinieri o del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e dell’intesa regionale. Cinque Parchi Nazionali (Val Grande, Stelvio, Dolomiti Bellunesi, Appennino Tosco Emiliano, Aspromonte) avevano un Piano AIB adottato ma recentemente scaduto, e il nuovo piano è attualmente ancora in fase di elaborazione. Inoltre, delle 67 Riserve Naturali Statali e al di fuori dei Parchi Nazionali (e quindi legalmente obbligate a dotarsi di un Piano Aib), solo otto hanno completato l’iter di approvazione. Le rimanenti 59 hanno la procedura per il Piano Aib ancora in corso.

Il caso del Parco Nazionale del Gargano – Emblematico il caso del Parco nazionale del Gargano, al centro di polemiche dopo l’incendio che ha devastato l’Oasi Lago Salso, affiliata WWF. Dopo la messa in liquidazione nel 2019 della società Oasi Lago Salso S.p.A., la cura è affidata al Parco nazionale del Gargano e del Centro Studi Naturalistici Onlus. Ma, come denuncia il Wwf da tempo, è una gestione che lascia molte perplessità. Il Parco è rimasto per 30 anni, ossia dalla sua istituzione, senza un regolamento, senza il Piano (neppure quello pluriennale economico e sociale). E così, dato che nelle ultime settimane oltre 1.600 ettari sono andati in fumo tra le zone di Manfredonia, San Giovanni Rotondo, Monte Sant’Angelo, Vieste e Vico, è stata lanciata anche una petizione online per chiedere un Piano Aib. Già, perché ecco cosa si legge dal documento del Mase (aggiornato a dicembre 2024) sul piano anticendio boschivo del Parco nazionale del Gargano: “Pervenuto il nuovo piano Aib pluriennale 2020-2024”. Quindi già vecchio. “Chiesti e pervenuti i pareri dai carabinieri forestali e dai vigili del fuoco. Chiesto all’ente parco di revisionare il piano Aib pluriennale sulla base dei suddetti pareri”.

Le lacune di un approccio emergenziale: dal clima al degrado – Ma avere piani aggiornati non è sempre la soluzione. “Un piano antincendio con una previsione triennale non può essere utile nell’era dei cambiamenti climatici? Credo abbia molto più senso affidarsi a piani territoriali di adattamento ai cambiamenti climatici, come quello elaborato su base volontaria per le Cinque terre. Ci abbiamo lavorato insieme al Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici” spiega Nicoletti. Che aggiunge: “Il nostro Paese deve superare l’attuale basso livello di Pianificazione forestale. Come si può fare prevenzione se su 12 milioni di ettari di terreni boscati solo il 18% è pianificato? E poi bisogna integrare i piani Aib con i piani di adattamento climatici”. Un altro aspetto, di cui non si tiene conto quasi mai si tiene conto nei piani, riguarda il degrado dei territori. Storicamente, infatti, pratiche di gestione del territorio tradizionali, come la raccolta di foglie e arbusti e il pascolo controllato o l’uso occasionale del fuoco per rinnovare i pascoli da parte dei pastori, erano fondamentali per mantenere paesaggi resistenti al fuoco nell’Italia centrale. Queste attività contribuivano a ridurre il pericolo di incendi per accumulo della biomassa disponibile. Come racconta il report di Legambiente, l’abbandono o la diminuzione di queste pratiche tradizionali, spesso a causa di cambiamenti socioeconomici come lo spopolamento rurale e l’allontanamento dall’agricoltura e dalla pastorizia tradizionali, ha portato a un accumulo di materiale combustibile nei boschi e nelle interfacce urbano-rurali. Questo aumento del carico di combustibile, unito a una gestione attiva insufficiente, crea condizioni che favoriscono incendi più frequenti, estesi e intensi quando si verificano inneschi. La perdita di questa gestione culturale del fuoco va in qualche modo affrontata e sostituita.

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