Anan Yaeesh in sciopero della fame nel carcere di Melfi: l’accusa di terrorismo è un’enorme ingiustizia

  • Postato il 8 ottobre 2025
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Da sabato 4 ottobre Anan Yaeesh, cittadino palestinese detenuto nel carcere di Melfi, ha iniziato uno sciopero della fame. Lo ha fatto – spiega il Comitato Free Anan – “in solidarietà con le mobilitazioni italiane per la Palestina, in particolare con quella di Roma dello stesso giorno, quando oltre un milione di persone è sceso in piazza contro il genocidio del popolo palestinese, e per riaffermare i propri diritti violati”. Un processo che, come denuncia l’avvocato Giuseppe Romano dei Giuristi Democratici, “è un vero e proprio processo alla resistenza palestinese in Cisgiordania”.

Yaeesh è una figura conosciuta in Palestina: da adolescente, dopo aver perso la fidanzata uccisa da un soldato israeliano, decise di unirsi alla lotta politica e militare della Resistenza. “È accusato di essere un membro attivo della resistenza palestinese in Cisgiordania, in particolare nella città di Tulkarem da cui proviene”, ha spiegato l’avvocato Flavio Rossi Albertini del Foro di Roma, che fa parte del Collegio di difesa.

Dopo anni di detenzioni, torture e tentativi di assassinio da parte di Israele, Yaeesh lasciò la Palestina nel 2013, trovando rifugio in Europa e infine in Italia, dove gestiva un piccolo ristorante a Mestre. “Signor Giudice, in passato sono stato sottoposto decine di volte alla tortura. Sono stato vittima di tentati assassinii da parte di Israele, in Palestina e all’estero. Nel mio corpo vi sono 11 proiettili e oltre 40 schegge, non ho un osso che non sia stato rotto”, ha raccontato Yaeesh in una dichiarazione spontanea in aula. Quando Israele ha chiesto la sua estradizione, il governo italiano ha immediatamente accolto la richiesta. È stata poi la Corte d’Appello a fermare tutto, riconoscendo che in caso di consegna a Israele avrebbe subito torture e trattamenti disumani, come documentato ampiamente dall’Ong Addameer e dalle testimonianze dei prigionieri politici palestinesi.

Ma pochi giorni dopo, la Procura dell’Aquila ha avviato un nuovo procedimento, accusandolo di aver promosso nella Cisgiordania occupata un gruppo armato chiamato “Rapid Response Brigades of Tulkarem”, usando l’articolo 270 bis del codice penale, che punisce chi promuove o partecipa ad associazioni con finalità di “terrorismo internazionale”. Una manovra chiaramente politica, basata solo sull’alleanza tra Italia e Israele, considerando che, geopoliticamente e secondo il diritto internazionale, non esiste alcuna una definizione precisa di “terrorismo”. Un’enorme ingiustizia, che viola i principi umani e del diritto internazionale, basata sul razzismo antipalestinese, molto diffuso in Italia e che noi palestinesi proviamo sulla nostra pelle ogni giorno.

Secondo l’avvocato Giuseppe Romano, questa scelta “riproduce in Italia l’ingiustizia che da decenni colpisce i palestinesi nei territori occupati”. La militanza di Anan Yaeesh nelle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, ala armata di Fatah impegnata nella resistenza contro l’occupazione israeliana, gli aveva impedito di ottenere lo status di rifugiato, pur consentendogli di accedere alla protezione speciale. Romano richiama un precedente emblematico: quello di Abdullah Öcalan, leader del movimento curdo Pkk, che nel 1999 l’Italia non estradò in Turchia proprio per il rischio di tortura e di condanna a morte, riconoscendogli tuttavia il diritto alla protezione internazionale.

Allo stesso modo, nel caso di Yaeesh, lo Stato italiano ha bloccato la richiesta di estradizione avanzata da Israele ma negandogli lo status di rifugiato politico a causa della sua appartenenza a un’organizzazione che, pur operando per la liberazione della propria terra contro uno stato occupante, viene classificata come “terroristica” in Europa, per via dei suoi interessi geopolitici con Israele. “Se un profugo ucraino – osserva ancora Romano – avesse sostenuto i connazionali in guerra contro l’invasione russa, lo avremmo processato?”.

Yaeesh ha enfatizzato proprio questo punto, quello del doppio standard politico italiano, in aula davanti al giudice, nel marzo 2025. “Sfortunatamente, signor Giudice, ho preso visione delle vostre osservazioni sul caso e, con rammarico, ne ho dedotto che considerate il palestinese terrorista non per la – legittima – resistenza che porta avanti contro uno stato occupante, ma perché riconoscete Israele come uno Stato amico. Se in ballo vi fosse stato un altro paese occupante, la Russia ad esempio, avreste riconosciuto la legittimità della resistenza palestinese. Non mi state processando in base al diritto internazionale, ma in base ai vostri rapporti diplomatici, solo perché Israele è considerato un alleato del governo italiano, un partner commerciale, e ritenete legittime tutte le azioni che esso porta avanti. Tanto vale allora cambiare il nome delle corti internazionali e umanitarie in Corti degli amici”, ha detto.

L’avvocato Romano sostiene che l’Italia si sta sostituendo ad Israele nella repressione della Resistenza palestinese. Il Comitato Free Anan denuncia inoltre che la Corte ha escluso la maggior parte dei testimoni richiesti dalla difesa: 47 nomi, tra cui la relatrice speciale dell’Onu Francesca Albanese. “La Corte affida la ricostruzione dei fatti alla sola Digos dell’Aquila, senza permettere alla difesa di far ascoltare chi può spiegare il contesto in Palestina. Con queste premesse possiamo parlare di un processo equo?”, scrive il Comitato. Yaeesh non è accusato di aver colpito civili, e le eventuali armi o conversazioni su armi vanno contestualizzate, sottolinea la difesa, “nel contesto della difesa da un esercito occupante”. Secondo il diritto umanitario internazionale, infatti, un popolo sotto occupazione ha diritto a resistere, anche con le armi, all’occupante militare.

Dopo Yaeesh, anche due suoi amici, Ali Irar e Mansour Doghmosh, vennero arrestati; poi liberati dopo sei mesi perché la Corte di Cassazione ha annullato le misure cautelari a loro carico. “Erano stati arrestati – denuncia Romano – solo per dare un’apparenza di imparzialità a un’iniziativa giudiziaria che in realtà ricalca la logica israeliana.” Quella di Anan è una vicenda che finora ha avuto troppo poca attenzione mediatica e che invece deve essere raccontata. Per gli esperti di diritto rappresenta un caso emblematico del progressivo smantellamento del diritto internazionale, ma non bisogna essere esperti legali per inorridire di fronte a questa storia, basta avere dei principi umani di base.

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