Ancora una strage in autostrada. Anche l’informazione dovrebbe fare la sua parte
- Postato il 5 agosto 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Ancora una strage in autostrada. Tre morti per un Tir che, semplicemente, non ha frenato, uccidendo gli occupanti di un’ambulanza, luogo dove ci si pensa giustamente sicuri. Ma è di pochi giorni fa l’altra strage, sempre in autostrada, che ha portato alla morte di quattro persone, di cui tre giovani adulti colpevoli di nulla, solo essersi trovati davanti l’auto contromano di un anziano probabilmente stordito da notti insonni.
Questi due episodi tragici già ci mettono davanti a una serie di problemi che non sono individuali, anche se alle persone piace trovare il colpevole singolo, l’errore umano, che invece è assai più raro di quello sistemico: in questi casi, appunto, l’assurda quantità di tir che viaggiano su gomma, il fatto che in Italia le merci non viaggino come negli altri paesi soprattutto su ferro, ma sulle strade. Chiunque guidi conosce la quantità di tir sulle autostrade e strade secondarie e soprattutto la loro velocità, spessissimo oltre il limite. Bisognerebbe ovviamente tenere conto anche delle loro condizioni di lavoro, delle loro paghe, ma di questo nessuno parla. Sicuramente sono un pericolo.
L’altro incidente racconta del tema degli anziani alla guida. Un tema enorme, perché siamo una società che sta invecchiando vertiginosamente ma che non si sta preparando adeguatamente a questo. Ecco perché pur invecchiando siamo costretti a continuare a guidare, ad essere autonomi. Oggi un ottantenne probabilmente fa ancora tantissime cose, aiuta i figli, trasporta i nipoti, etc.
In molti hanno invocato in questi giorni controlli più stringenti sulle patenti e soprattutto meno formali. Certo, ovviamente servono più controlli veri, non solo burocrazia che costa e fa perdere tempo anche agli anziani. Ma non è quello il punto vero. Servirebbe, ad esempio, che tutte le zone del paese fossero servite dai treni, mentre sappiamo che, caso mai, sempre più piccole stazioni chiudono.
In estate vado in una zona dell’Umbria praticamente priva non solo di treni, ma anche di navette che servano i vari paesi, perché gli anziani hanno bisogno di spostarsi. Invece non c’è nulla che colleghi i centri e appunto l’unica possibilità è la macchina, che serve anche per raggiungere ospedali sempre più lontani, anche a due ore di distanza, perché quelli nei paesini chiudono. Meno auto private e più mezzi pubblici, dunque, aspettando l’auto a guida autonoma che sicuramente, finalmente, ridurrà il numero delle vittime, inchiodato, in Italia, a 3000 vittime l’anno, nonostante l’obiettivo di dimezzare le vittime tra il 2020 e il 2030 imposto dall’Europa. E che altri paesi, chissà com’è, stanno raggiungendo.
L’attuale ministero dei Trasporti non sembra mettere in atto misure efficaci, impegnato casomai nella lotta agli autovelox. Giuste le misure contro l’alcol alla guida, ma quella è solo una delle cause degli incidenti, forse neanche la meno grave.
E dire che basterebbe anche agire su alcuni fronti che restano incredibilmente scoperti, magari attraverso delle pubblicità progresso mirate. Come quello delle cinture di sicurezza posteriori, che in Italia indossa il 30 per cento di coloro che salgono in auto, un cifra bassissima rispetto all’Europa. Una campagna su questo salverebbe tantissime vite, tra l’altro consentendo pieni risarcimenti assicurativi, perché chi è senza cintura è in difetto, e costerebbe pochissimo. Perché non si faccia resta a mio avviso un mistero.
In questo paese dove vengono travolti soprattutto i più vulnerabili, pedoni, ciclisti etc, e dove, ripeto, i morti sono pari a quelli delle Torri Gemelle ogni anno, per non contare i feriti e gli invalidi, noi dell’informazione dovremmo fare la nostra parte. Che non facciamo.
Mi è capitato di recente di seguire, per la formazione obbligatorio, un corso su come i giornalisti dovrebbero raccontare i sinistri stradali. “Non esistono auto impazzite. Il racconto sbagliato degli ‘incidenti’ stradali e come cambiarlo per salvare vite”, a cura del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti e con la partecipazione di Luca Valdiserri, giornalisti che ha perso un figlio ucciso sul marciapiede e Stefano Guarnieri, Vicepresidente Associazione Lorenzo Guarnieri Onlus, padre appunto di Lorenzo, ucciso anche lui su strada. Il corso è stato illuminante anche per chi, come me, da sempre segue questo tema. Anzitutto, hanno spiegato gli esperti, non si dovrebbe parlare di “incidenti” stradali ma di scontri, o sinistri, o schianti. Perché “incidente” porta con sé un’idea di fatalità che non esiste quasi mai: c’è sempre una responsabilità, una colpa.
Un’altra cosa che è stata fatta notare è l’assurdità di locuzioni, usate di continuo, come “auto impazzita piomba sulla folla”, oppure “scooter ha travolto il ragazzo”, etc. In questo modo si dà la colpa a qualcosa di inanimato, il che è assurdo. Bisognerebbe sempre trattare i sinistri come casi di cronaca. Ebbene, ci troveremmo mai di fronte a un titolo che recita “coltello impazzito uccide due persone?”.
Molto importante, anche, non colpevolizzare la vittima, ad esempio dicendo “è sbucata fuori all’improvviso”, oppure “era vestita di scuro etc”. Il corso invita anche a non mostrare mai immagini né dei corpi né del veicolo incidentato, perché entrambe le cose sono scioccanti per i parente. E spiega benissimo il tema della cosiddetta “vittimizzazione secondaria”, ovvero quando al dolore della vittima o dei suoi parenti si aggiungono altre ferite, magari dovute a comportamenti ed espressioni sbagliate e dei giornali e delle forze dell’ordine.
Dobbiamo dunque, noi giornalisti, cambiare linguaggio, smetterla con gli stereotipi sbagliati. Anche questo salva vite o concorre alla sicurezza e a fermare quella che va definita “violenza stradale”. Violenza di cui si parla troppo poco, preferendo derubricarla, appunto, a casualità. Invece non lo è, come non lo è ogni tipo di violenza. Cominciare a toglierci dalla testa questa convinzione è un primo passo da fare in fretta. E al tempo stesso, oltre a questo, inserire il problema dei sinistri stradali all’interno di un quadro sistemico denso di variabili e carenze strutturali: carenza di ferrovie per le merci, carenza di collegamenti pubblici per le aree interne, strade dissestate e poco illuminate, controlli comunque insufficienti. E per favore, la cintura di sicurezza dietro, mettetela. E sì, anche in città!
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