Atenei Usa, altro che orgoglio: ora con Trump siamo arrivati alla Big Brother University
- Postato il 3 giugno 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Secondo la classifica internazionale più accreditata e recente, tra le prime venti università del mondo ben sette sono statunitensi (vedi Fig.1). Il vecchio continente ne piazza soltanto cinque, quattro inglesi e una svizzera, mentre l’Unione Europea brilla per l’assenza. Tre sono cinesi, compresa Hong Kong che mi aveva fatto una proposta quando entrai in quiescenza. Ma come avrei potuto assistere — e piangere — alla dissoluzione della squadra del cuore da così lontano?
Nel mondo al contrario dell’era post-pandemica, gli Stati Uniti potrebbero guardare con orgoglio a un settore in cui eccellono, la creazione e la trasmissione di conoscenza. Assieme agli armamenti, è anche il settore con il miglior surplus commerciale. In maggioranza, gli studenti stranieri pagano l’intera retta, a beneficio degli allievi nativi che possono frequentare questi prestigiosi istituti grazie alle generose borse di studio. E, non ultimo, il sistema serve a reclutare talenti. Il visto F-1, oggi sotto attacco, rilancia l’economia, aiuta a pagare l’istruzione dei cittadini americani e, assieme alla certificazione H-1B e Alien Labor, aiuta a mantenere i laureati migliori negli Stati Uniti.
L’attacco MAGA è diretto soprattutto contro le università di élite, simboleggiate dalla Ivy League della costa orientale. Sogna di trasformare la Ivy League in una nuova, indottrinata Mediocrity League, come inveisce un vecchio collega. Le conseguenze peseranno però sull’intero sistema. Gli allievi stranieri della indomita Harvard sono poco meno del 30 percento, più o meno gli stessi di MIT e Caltech, ma i forestieri superano i nativi in atenei di prestigio come Illinois Tech (vedi Fig.2). Perfino università statali come la Colorado State University ospitano un congruo numero di stranieri, soprattutto nella formazione di terzo livello. Quando feci un ciclo di lezioni in un corso di dottorato del MIT, più di trent’anni fa, solo due erano i nativi americani, mentre c’era un foltissimo gruppo di coreani, grazie al supporto dell’azienda ferroviaria del loro paese.
Se perfino il governatore della Federal Reserve si preoccupa, l’attacco contro l’alta formazione americana deve preoccupare anche noi? Un articolo pubblicato il 25 maggio dal Financial Times riporta il severo richiamo di Jay Powell: “Siamo leader mondiali sotto molti aspetti, tra cui l’innovazione scientifica e il dinamismo economico. Le nostre grandi università sono l’invidia del mondo e un bene nazionale cruciale”. E, in quel discorso di aperura della Princeton University, ha esortato gli studenti a proteggere la democrazia.
Da tempo non affrontavo questioni accademiche, dopo la pandemia e, subito a ruota, il vento di guerra che ha iniziato a soffiare sempre più intensamente. Nel libro che pubblicai alle soglie della pandemia, Morte e resurrezione delle università*, incitavo a superare il modello utilitaristico della “università di mercato” perché si stava velocemente trasformando in una Big Brother University, l’università del Grande Fratello. Ghe semmu, con MAGA ci siamo arrivati. Dobbiamo perciò preoccuparci, anche se la mano pesante del potere sull’alta formazione non è una novità, ma una costante plurisecolare.
Il 21 marzo del 1810, Napoleone I imperatore dei Francesi arringò il Consiglio di Stato senza peli sulla lingua. “Se le mie speranze si attuano voglio trovare nel Corpo universitario una garanzia contro le teorie perniciose che tendono a sovvertire l’ordine sociale costituito … Il Corpo universitario avrà il compito di dare per primo l’allarme e di essere pronto a resistere contro le pericolose teorie degli spiriti singolari… che cercano di agitare l’opinione pubblica”. Per fortuna, a Waterloo piovve forte, trasformando il terreno in un pantano e annullando così la proverbiale capacità di movimento dell’esercito francese.
Ai colleghi americani non resta che sperare nel clima? Global warming pensaci tu.
La filosofia MAGA in tema di alta formazione e ricerca scientifica troverà emuli altrove? Non si può escludere e qualche sintomo si percepisce già. In Europa, l’Italia è la nazione meno attrezzata — culturalmente e storicamente — a fronteggiare a questa minaccia. Quando il fascismo chiese ai professori universitari un atto formale di adesione al regime, tradotto nel Regio Decreto del 28 agosto 1931, soltanto 12 docenti rifiutarono, assieme a un tredicesimo imbucato: il matematico Vito Volterra che, ormai quiescente, chiese la reintegrazione nel ruolo per poter rifiutare la firma.
*traduzione italiana di The Decline and Renaissance of Universities: Moving from the Big Brother University to the Slow University, Springer, 2019.
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