Attaccare gli ospedali non è un errore, ma una strategia: così si dichiara guerra alla vita. Parliamone
- Postato il 2 luglio 2025
- Blog
- Di Il Fatto Quotidiano
- 1 Visualizzazioni
.png)
L’8 luglio 2024 non è caduto solo un missile: è crollata l’unica certezza che avevo, che almeno gli ospedali non si toccano.
In pieno giorno, l’ospedale pediatrico Okhmatdyt di Kyiv, il più grande dell’Ucraina, è stato colpito. Due operatori sanitari uccisi. Oltre 600 persone evacuate. Reparti sventrati. Ma ciò che è andato in frantumi è qualcosa di più profondo: la certezza che esistesse, anche nella guerra, un luogo dove la vita fosse protetta. Dove il dolore non veniva bombardato. Dove si poteva ancora respirare.
L’indomani, il Secolo XIX titolava: “È come se avessero distrutto il Gaslini di Genova”. Ecco: è esattamente così. All’Okhmatdyt, come in altri ospedali in Palestina, lavoro con Soleterre per curare bambini malati di cancro e feriti dalla guerra. Per riabilitare corpi e psiche. Bambini che arrivano con lo sguardo basso e le spalle piegate. Bambini che non parlano. Bambini che sanno già tutto: che si può morire anche mentre si prova a guarire.
Una delle sfide più grandi, quando hai davanti un bambino così, è trovargli le parole giuste. Quelle che lo aiutano ad affidarsi. A fidarsi. A credere che, almeno lì, almeno nel posto dove si cura, non accadrà più niente di male.
“L’ospedale è un luogo sicuro”. Da quel giorno, io quella frase non riesco più a dirla. Non riesco più nemmeno a pensarla. Perché gli ospedali sono diventati un bersaglio. E se anche la cura diventa un bersaglio, cosa ci resta? Cosa resta della fiducia? Cosa resta della cura, se non sappiamo più proteggerla?
Colpire un ospedale non è un effetto collaterale. È una dichiarazione di guerra contro la vita. Chi lo fa non distrugge solo un edificio, ma cancella l’idea che esista un limite anche alla violenza. In Palestina lo chiamano per nome: genocidio. In Ucraina è medicidio: annientare la possibilità stessa di essere curati.
In guerra, l’ultimo argine alla barbarie è proprio la cura: l’atto di tenere in vita. Quando anche quella frontiera viene violata, non resta più niente da spartire con la civiltà.
Tra marzo e maggio 2025, a Gaza si sono registrati almeno 940 attacchi documentati, con un aumento del 22% rispetto al 2023.Nel 2023, Gaza e Cisgiordania avevano già registrato centinaia di attacchi contro ambulanze, ospedali, medici, generatori, incubatrici. Nel 2025 la soglia è stata superata: oltre 10 attacchi al giorno, documentati. Nella sola Cisgiordania, nei primi due mesi del 2025, l’Oms ha segnalato 44 attacchi contro ambulanze, medici e strutture sanitarie. 25 morti. 121 feriti. Molti erano pazienti. O medici.
Nel 2024, su scala globale, gli attacchi contro strutture sanitarie sono stati 3.623. Un attacco ogni quattro ore. Ogni giorno. In ogni angolo del mondo. Più di un terzo di questi è avvenuto nei Territori Occupati Palestinesi: meno dell’1% della popolazione mondiale. Più del 30% della violenza sanitaria documentata.
In Ucraina, tra il 2022 e il 2023, si contano oltre 700 attacchi documentati: 1.200 ospedali colpiti. 173 completamente distrutti. In media, ogni due giorni un ospedale viene colpito. Uno su sette diventa inutilizzabile per sempre. Il 6% degli obiettivi erano ospedali pediatrici.
Colpire un ospedale è vietato dal diritto internazionale. È un crimine di guerra. Ma accade ogni giorno. In Gaza, strutture come Al-Rantisi e Al-Nasr sono state rase al suolo. Neonati lasciati attaccati a un generatore, finché anche quello si è spento.
Non si uccide solo chi è malato. Si uccide anche chi avrebbe potuto salvarsi.
Chi lavora con i bambini sa cosa significa: in Palestina, l’88% dei minori mostra sintomi da trauma, il 70% legati a Ptsd. Incubi. Regressioni. Mutismo. In Ucraina, dopo l’attacco all’Okhmatdyt, abbiamo visto le stesse ferite negli occhi dei piccoli pazienti evacuati.
Soleterre è in Ucraina dal 2003. Curiamo pazienti, forniamo farmaci introvabili, e attiviamo supporto psicologico e musicoterapia. Perché la cura è anche questo: dire a un bambino che la guerra non è tutto. Come quella volta in cui, sotto le bombe, un’infermiera ha preso per mano Nina e suo figlio con la flebo ancora attaccata, portandoli nei sotterranei. Quel gesto ha salvato lui. E ha salvato anche lei.
In Palestina, siamo l’unico presidio oncologico pediatrico pubblico della Cisgiordania. A Beit Jala, accanto a Betlemme, garantiamo farmaci, terapie, sostegno psicologico. Il 10 luglio apriremo un centro per la cura dei traumi infantili di guerra e occupazione.
Curare, in guerra, non è solo medicina. È scelta. È protezione. È resistenza. Ricostruire un ospedale è dire: ci crediamo ancora. Che un luogo sicuro deve esistere. Dentro e fuori di noi. A un anno da quell’attacco, mi resta una domanda: che ne è della cura, se non la sappiamo più difendere?
Io credo che ci sia ancora. Ma solo se la scegliamo, ogni giorno. Anche sotto le bombe. Sostenere Soleterre è questo: non smettere di curare. Nemmeno quando tutto crolla.
L'articolo Attaccare gli ospedali non è un errore, ma una strategia: così si dichiara guerra alla vita. Parliamone proviene da Il Fatto Quotidiano.