Buon vento alla Global Sumud Flotilla, ma io non condivido: in mare ciò che è inutile non si fa mai

  • Postato il 30 agosto 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Non ripeterò cosa sta accadendo a Gaza. A dispetto di chi invoca “il silenzio del mondo” non si parla d’altro che del massacro, del genocidio, della negazione del diritto, della protervia sionista che sta distruggendo Israele oltre che la Palestina. Sappiamo tantissimo, se non tutto, di ciò che serve per condannare questo orrore.

A tutti noi prudono le mani davanti al televisore, ogni giorno. Vorremmo poter fare qualcosa. Vorremmo poter contribuire alla fine del massacro. Io vorrei anche essere informato su tutti i massacri in atto nel mondo, non solo su uno, perché parlare tanto, diffusamente, di una guerra consente di tenere alta l’attenzione su quella, ma fa male a tutte le altre tragedie dimenticate. E mi viene da chiedermi se ormai, in questa epoca, la cosa più utile per un popolo oppresso non siano gli aiuti, le armi, il cibo, ma un buon ufficio stampa. E qui la tristezza mi divora.

Ma poi guardo le immagini di Gaza e tutto svapora, torno a fremere al pensiero di come sia possibile contribuire, fare pressione, intervenire. È di questi giorni l’avvio delle operazioni della Global Sumud Flotilla, nata da una costola e dall’esperienza della Global March to Gaza del giugno scorso. L’intento è quello epico, bellissimo, utopistico di rompere l’illegale blocco navale imposto da Israele vent’anni fa che impedisce l’atterraggio a Gaza di qualunque nave e, dunque, di qualunque aiuto umanitario. Aiuto che, con l’avvio dell’operazione “fame” perpetrata dal Governo di Israele col chiaro intento di denutrire i palestinesi e indebolirli fino ad arrendersi o morire, oggi è diventato impellente.

Ciò che auspicano gli organizzatori è un flotta grande tanto da non poter essere gestita facilmente o respinta come già avvenuto per le decine di precedenti azioni individuali via mare (l’ultima quella della Freedom Flotilla con Greta Thunberg, pochi mesi fa). Una flotta che parta dai vari porti del Mediterraneo occidentale per fare rotta su Gaza portando anche aiuti umanitari. E io, da uomo di pace, da marinaio, da amante del Mediterraneo che ha navigato tutto in decenni di ricerca e spedizioni culturali e scientifiche, non posso che augurare a questa iniziativa il “buon vento” che si augura sempre a chi salpa. Soprattutto con questi fini.

E tuttavia non mi unirò a questa flotta. Potrei premere sull’associazione Progetto Mediterranea che ho fondato e di cui faccio parte da tredici anni. Non è detto che la spunterei, perché in Progetto Mediterranea ognuno vale come individuo e le opinioni sono sempre libere e diverse. Ma potrei tentare. Solo che non l’ho fatto e non lo farò, perché a me questa operazione, sostanzialmente, non piace.

Per alcuni motivi sostanziali: il primo è che non servirà a niente. Israele sta compiendo massacri e genocidi perché può farlo secondo la nuova regola ufficiale del diritto internazionale, quella del più forte. Cioè quella del sostegno degli Usa, della forza militare di Israele e della contemporanea debolezza dell’Ue. Lo stesso motivo per cui l’Ucraina al tempo stesso resiste ma perderà territori, vittima anche lei del negoziato non sul diritto, ma sulle armi.

Israele ha già fatto abbordaggi, dirottamenti, sequestri, atti di pirateria in acque nazionali e internazionali. Molti. Dunque si comporterà nello stesso modo. Lo sappiamo per certo, non c’è alcun dubbio su questo. Il suo Governo, su cui né l’Onu né l’Ue né l’intero cosmo della rappresentanza mondiale della difesa dei diritti umani sono mai riuscite neppure a imporre sanzioni, della Global Sumud Flotilla se ne frega, la tratterà come una pratica di disturbo per cui ha già procedure ben oliate.

Nulla di questa iniziativa ha dunque alcuna possibilità di avere alcun benché minimo successo. Né si tratta di un flash-mob che abbia l’intento di alzare la palla, di sollevare un problema ancora sottostimato o sconosciuto, di portare l’attenzione generale a guardare un’area del mondo dimenticata o trascurata: tutto il mondo sa cosa succede a Gaza e nei territori occupati. Tutti noi vediamo centinaia di immagini e di video ogni giorno sulle tragiche condizioni del popolo palestinese, o sulle azioni dei loro crudeli invasori e torturatori. Dunque anche questo obiettivo, che in altre circostanze ha reso utile e importante qualunque azione analoga, non sussiste.

Gli aiuti che, a quel che si apprende, le imbarcazioni trasporteranno per dare sollievo alle popolazioni sottomesse e affamate di Gaza non raggiungeranno mai lo scopo di recare quel sollievo. Nemmeno un pacco di farina verrà recapitato ai Palestinesi, ne possiamo essere certi. E poi non condivido la logistica, che sembra più imposta dall’esigenza di spettacolarizzazione che dal senso economico e organizzativo di ogni impresa. Se davvero si vuole fare qualcosa, perché la complessità di partire da Barcellona, da Genova, passando per Tunisi, che è un pesante fuori rotta? Perché farlo anche con barche a vela, che vanno a 8 nodi a motore e randa issata oppure ci mettono un paio di mesi per arrivare in Palestina?

Se si vuole economizzare, come si dovrebbe, e rendere il processo efficace e efficiente, servirebbero barche a motore, che salpano da Limassol, a Cipro, dove i partecipanti potrebbero convergere insieme dai 44 paesi aderenti alla Flotilla, comunicandolo e dando il senso internazionale della grande adunanza. Caricare tutte le imbarcazioni, fare poche decine di miglia, evitare di sperperare centinaia di migliaia di euro in materiali, gasolio, pezzi di ricambio… e subito dare il via alla scena. Perché da Barcellona? Perché da Genova? Sono due dei luoghi più distanti da Gaza dell’intero Mediterraneo. Così sembra un corteo, una processione, più che una spedizione.

Inoltre, alla guida di questa flotta e del vasto movimento di opinione che la sostiene, non mi risulta ci siano dei palestinesi. Lo racconta con grande dovizia di informazioni e dati Federica D’Alessio di Kritica nel suo prezioso articolo La Global Sumud Flotilla trasporta i nostri limiti e le nostre buone intenzioni del 28 agosto. Rivelando anche che perfino i partecipanti egiziani alla Global March, fallita miseramente per invidie, competizioni, non collaborazioni tra “occidentali” a giugno scorso, hanno rivelato di essersi sentiti “calpestati” dagli umanitari bianchi occidentali molto motivati ma forse poco rispettosi.

Perché questa è la tendenza, spesso, dei nostri pur veri, autentici e importanti slanci umanitari, che tuttavia appaiono spesso naif, spettacolari, troppo palesemente occidentali. Come accade per la Flotilla in partenza in questi giorni: decine di barche a vela (si parla di 44) che convergono a una specie di “prova di coraggio” più utile per chi la fa che per chi la riceve (visto l’elenco delle inutilità di cui sopra). Anche perché è tutto abbastanza sicuro, e se anche c’è del rischio (che ci auguriamo non ci sia) quasi certamente nessuno si farà male (ce lo auguriamo vivamente).

Un gesto dunque solo dimostrativo, inutile al cento per cento, che non farà tremare il potere (come a volte sanno fare le manifestazioni oceaniche di dissenso). Un gesto che non farà sorgere nemmeno una fondamentale revisione dei nostri comportamenti europei, come cittadini e come classe politica.

Dunque perché? Perché così almeno facciamo qualcosa, anche se non importa cosa? Perché questa guerra, diversamente dalle altre 99 che imperversano in questo momento nel mondo, si presta meglio all’applicazione del nostro dissenso e della nostra rabbia, che vengono da altrove? Perché ci fa piacere, per qualche ragione, dichiarare come mai prima da che parte stiamo? Perché oggi si possono raccogliere due milioni di euro, come dicono le cronache, con l’annuncio di una spedizione spettacolare? Q

uesti soldi serviranno per comprare le barche, il gasolio, i viveri per gli equipaggi… Gli osservatori fanno notare che sui conti aperti dai palestinesi per fare donazioni contro guerra e carestia ne sono finiti meno. Non sarebbe più utile darli a loro direttamente? Almeno questi soldi arriverebbero.

Cosa ci attira dunque di questo “gradiente di spettacolarità” che certe iniziative hanno e che incontra così facilmente l’attenzione di noi tutti oggi? Io non voglio nemmeno pensare che chi partecipa alla Flotilla lo faccia per avere visibilità, per i like su Instagram, per i selfie con, sullo sfondo, una bandiera della Marina israeliana, per le interviste e le ospitate televisive che ne scaturiranno, e nemmeno per l’effimera e truce soddisfazione di poter dire “io c’ero”. Sarebbe grottesco.

Io non credo che abbiamo bisogno di fare qualcosa del genere per i motivi elencati o per altri di pari grado. Tanto meno se ciò che faccio è del tutto inutile. Né sento di dover necessariamente applicare il mio urgente dissenso o la mia irrefrenabile rabbia su alcunché. Né mi sono mai interessato alle dichiarazioni di appartenenza, mai ho cercato enclave, pubblici di riferimento, affiliazioni a ambiti politici e sociali. Farlo oggi mi parrebbe osceno.

La barca a vela di Progetto Mediterranea sta navigando nell’Egeo del nord. Io salgo domani e prendo il comando. Volendo, in due giorni potremmo riempirla di viveri e in cinque o sei giorni potremmo essere in Medio Oriente. È una rotta che ho fatto già due volte, una volta venivo da Genova, l’altra dal Mar Nero. Potremmo arrivare a Cipro prima di tutti, poi attendere la flotta, unirci ad essa. Ma io non proporrò ai miei compagni di viaggio e alla vasta comunità di Mediterranea di farlo. Per i motivi che ho elencato.

Lo ammetto, mi piacerebbe. Anche se inutile, anche se solo spettacolare, mi piacerebbe prendere parte a questa spedizione. Solo l’ipotesi di sentirci un po’ paladini della giustizia, un po’ piccoli eroi che tentano di soccorrere i deboli e sofferenti, ci fa sempre rinvigorire. Non è così? E poi, nel torbido dei miei pensieri peggiori, quelli grotteschi a cui accennavo poco sopra… avrei forse qualche utile contropartita. Ma questo non darebbe nessun aiuto ai palestinesi. Mi sentirei dunque in errore perché faccio qualcosa di inutile, e in mare ciò che è inutile non si fa mai. Oltre a sentirmi un verme per tutto il resto.

Sia ben chiaro, questo discorso vale per me. Non lo attribuisco a nessuno, né accuso nessuno di avere il culto per l’inutile o torbide motivazioni per partecipare a questa iniziativa. Ognuno sa quali sono le proprie. Io ho espresso soltanto le mie ragioni.

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