Caro Beppe Montana, ti scrivo e rivivo i nostri momenti insieme. Soprattutto l’ultimo, di felicità

  • Postato il 28 luglio 2025
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Caro Beppe, nella nostra 5° Sezione investigativa era normale che non pesassero le differenze di grado, anche se ognuno di noi era consapevole del proprio ruolo. La Sezione di Cassarà, un pugno di uomini uniti da profonda amicizia, con l’unico scopo di sconfiggere Cosa nostra. Caro Beppe, ricordo quando sei arrivato, insieme al alcuni tuoi colleghi funzionari: tu sei rimasto e altri invece mandati in uffici della Questura.

Ti sto scrivendo rivivendo i nostri momenti di lavoro insieme, e nel mentre scende qualche lacrima: lacrima d’amore, di profondo affetto. Eri esuberante, allegro, gioioso e felice di essere con noi. Una volta, ti ho dovuto “richiamare”, quando entrammo in una pizzeria e si vedeva la tua 38 special e mentre stavi andando a salutare Alessandro, il figlio del dr Boris Giuliano, ti dissi “Ammuccia sta pistola!” (nascondila). E tu di riflesso, alzando le spalle: “Tanto u sannu ca siamo sbirri). Mi hai presentato Alessandro, che io non conoscevo.

Quanti giorni passammo insieme dentro un furgone anonimo, prima con Totuccio Contorno e poi con Stefano Calzetta: appostamenti per sorprendere i latitanti. Alcuni li arrestammo, compreso il killer del prof Paolo Giaccone. Beppe ti ricordi, quella mattina dopo aver scoperto una raffineria di droga in una grotta sottoterra, mi avvicinai e ti dissi: “Stamattina abbiamo scoperto il più grosso arsenale di armi di Cosa nostra”. Mi guardasti basito, come dire che cavolo dici? Ed io aggiunsi, vieni e ti faccio vedere. Accadde che eravamo sotto l’autostrada in località San Ciro Maredolce (Brancaccio) ed io mi insospettii notando una lunga scala parzialmente occultata dall’erba, la presi e salii sul soppalco. In fondo c’erano dei borsoni pieni di armi. Fucili di precisione, una mitraglietta con giubbotto antiproiettile compendio di un furto a una nostra Volante, un mitragliatore, silenziatori e un centinaio di pistole.

E ricordi quando all’alba, andammo a Lentini (Siracusa) e fummo costretti a toglierci le scarpe per non far rumore (la strada era piena di ghiaia), e sorprendemmo in una isolata villetta il latitante mafioso, Salafia Nunzio. Oppure quando andammo ad arrestare il cav Carmelo Costanzo a Catania.

Beppe, però fui fortunato di lavorare insieme a te nei mesi di aprile/maggio 1985. Io non facevo più parte della Mobile, ero stato mandato via da Palermo per motivi di sicurezza, l’anno prima. Ma in accordo con te e Cassarà, venni a Palermo per un’indagine: tutte e due da soli con quella Fiat/124 scassata – non era della polizia -, e girammo in lungo e largo il territorio palermitano.

Beppe amico carissimo, ora voglio ricordarti l’ultimo momento di felicità e spensieratezza che io, te e Ninni Cassarà passammo insieme, prima che io lasciassi a Palermo. Ci siamo dati appuntamento in un luogo concordato: nessuno doveva sapere che ero in città. Siete arrivati in ritardo per motivi d’ufficio e ci recammo al ristorante Lo Sceriffo, di Monreale. Beppe caro, devo chiederti scusa perché quel pomeriggio sia io che Ninni ti prendemmo in giro per quella bellissima giornalista francese: fu uno dei momenti più belli di noi tre. Ci dimenticammo di essere poliziotti: eravamo tre uomini che si volevano un gran bene.

Il 28 luglio di 40 anni fa, a Porticello, ti uccisero. Dopo pochi giorni, Cosa nostra uccise Ninni Cassarà e Roberto Antiochia: siete sempre nel mio cuore.

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Il Fatto Quotidiano

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