Conti pubblici sotto controllo ma manifattura in affanno: l’Italia ha bisogno di una nuova politica industriale

  • Postato il 22 agosto 2025
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  • Di Forbes Italia
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La presidente Meloni ha superato i mille giorni di guida del governo. Un caso raro in Italia, di per sé positivo. Il conseguimento di questo importante risultato non ci esime dal valutare quanto l’enfatizzazione della durata del governo da parte della presidente Meloni sia confortato dal miglioramento del tenore di vita dei nostri concittadini.

Dalla fiducia dei mercati ai rischi globali: perché i risultati non bastano all’Italia

Il massimo storico di 24,3 milioni di occupati, la diminuzione dello spread dei titoli pubblici italiani rispetto ai Bund tedeschi da 230 a 84 punti base, la riduzione del deficit di bilancio dal 7,2% del 2022 al 3,3% attuale, il rapporto di stima conseguito con la presidente della Commissione Europea, costituiscono degli inconfutabili risultati positivi del Governo Meloni.

Tali risultati, tuttavia, non possono essere rassicuranti per il proseguo dell’attività del governo per le perverse novità emerse nello scenario internazionale con la guerra dei dazi del presidente Trump e per le contraddizioni che investono l’economia italiana con lo sfarinamento della manifattura, attutito dall’espansione crescente del turismo di massa.

Salari reali sotto il 2019 e debito oltre il 135% del Pil: le ombre dietro i numeri positivi

L’aumento dell’occupazione – che nel primo semestre 2025 sta producendo, come nel 2024, maggiori entrate nel bilancio pubblico, stimate in circa 20 miliardi di euro dal professor Carlo Cottarelli – non sta producendo un  incremento della domanda interna, essendo concentrato per una parte rilevante nel settore dei servizi, con retribuzioni più basse di quelle del settore manifatturiero.

Il mancato adeguamento del livello dei salari reali, che secondo il rapporto dell’Ocse risulta inferiore del 7,5% rispetto al 2021, nonostante un solido aumento nel 2024, spiega l’andamento riflessivo della domanda interna, fiaccata dalla crescita del paniere della spesa passato a luglio 2025 dal 3,3% al 3,7%. L’inflazione di fondo, invece,  resta invariata al 2% per la diminuzione dei prezzi di prodotti non di consumo essenziale.

Il rigore nella gestione del bilancio che ha consentito al governo di ottenere  una forte riduzione dello spread e del disavanzo pubblico non è criticabile quando non è fine a se stesso. E tuttavia la politica monetaria restrittiva non  avendo prodotto né una riduzione debito pubblico che resta oltre il 135% del PIL, in aumento fino al 2027,  né il mantenimento del livello dei salari reali pari a quello del 2019, ha finito per essere fine a se stessa.

Cassa integrazione in aumento e salari fermi: la vera emergenza è la manifattura in declino

L’azione del governo si è limitata a mantenere sotto controllo i conti pubblici, aspetto non disdicevole in un paese in cui il servizio del debito pubblico si avvicina ai 100 miliardi annui, il 4,7% del Pil, superando la spesa pubblica per l’istruzione circa il 4% del PIL. Sono state accantonate le ridondanti azioni declamate nel programma elettorale della  maggioranza di governo. Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.

La gravissima crisi fiscale dello Stato italiano del 2011/12  fu superata in sette anni in virtù di una vigorosa ripresa del settore manifatturiero. Oggi, dopo il disastro del Covid e l’imperversare dell’inflazione per l’invasione russa dell’Ucraina, ci troviamo di fronte a un quadro di luci ed ombre che addensa prospettive poco rassicuranti sul tessuto economico e sociale.

L’indebolimento dell’industria e della manifattura, aggravato dalla crisi del made in Italy e dell’auto, è la principale causa del mancato adeguamento dei salari reali al 2019. La produzione industriale in Italia è negativa da più di due anni. Nei primi sei mesi del 2025 è esplosa la cassa integrazione che coinvolge 300mila addetti, per il 90% occupati nell’industria.

L’Italia deve rilanciare la manifattura per restare competitiva

Quale settima potenza mondiale per l’export, l’Italia non può cullarsi sulla prospettiva di divenire un paese che si accontenta di passare la nottata con l’espansione del settore turistico e dei servizi ad esso connessi. È necessario che il governo, ma anche l’opposizione e gli enti intermedi, si facciano carico di rimettere in moto la manifattura industriale che ha assicurato la crescita del benessere. Per affrontare le contraddizioni in essere nel sistema economico e sociale non sono sufficienti i pur lusinghieri risultati conseguiti dal Governo. È indispensabile fare di più. La mera gestione del presente non garantisce un futuro. Al centro dell’azione del Governo e del Parlamento dovrà esserci la politica industriale nazionale e quella europea. Entrambe devono cambiare passo. Guai a pensare di risolvere i problemi autonomamente. Da soli non si va da nessuna parte.

Al Forum degli industriali del 10 luglio scorso il presidente Orsini ha sostenuto che “l’Europa deve reagire a questa sorta di stato di impotenza per essere competitiva con il resto del mondo. Al centro è la competitività europea. Ogni paese deve fare la sua parte. Non c’è più tempo da perdere. L’Europa deve crescere  socialmente ed economicamente e l’unica via è quella dell’impresa e dell’industria”.

Un’Europa più forte o nessun futuro: servono investimenti, nucleare e unione fiscale

L’Europa e l’Italia potranno riavviare un processo economico virtuoso se a livello europeo saranno  conseguiti in tempi ragionevoli i seguenti obiettivi: una massa critica di interventi a sostegno degli investimenti in beni materiali e immateriali, facendo leva sul debito comune; una politica energetica che non ignori l’energia nucleare pulita di nuova generazione; una gestione integrata del risparmio finanziario attraverso l’Unione Bancaria; una politica fiscale comune con la chiusura dei paradisi fiscali.

Obiettivi di tale portata richiedono la modifica dell’assetto istituzionale dell’Unione Europea. Con le decisioni all’unanimità non si va da nessuna parte. È giunta l’ora per ogni paese dell’Unione di smettere di tenere il piede su due staffe. Il governo, ma anche l’opposizione, ci pensino bene. Si potrebbe correre il rischio di sostituire la manifattura con il turismo, contraddicendo una storia economica ultra decennale.

Lo stato federale europeo non può continuare ad essere un’utopia. Il profondo mutamento delle politica commerciale internazionale imposto da Trump e le trasformazioni derivanti dalla vulnerabilità del clima, dalla digitalizzazione e dall’intelligenza artificiale non aspettano.

L’articolo Conti pubblici sotto controllo ma manifattura in affanno: l’Italia ha bisogno di una nuova politica industriale è tratto da Forbes Italia.

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Forbes Italia

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