Così Francesco aveva preparato la sua corsa finale: negli ultimi messaggi i suoi testamenti

  • Postato il 22 aprile 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Ora, riavvolgendo il nastro, si vede con quanta cura Francesco aveva preparato la sua corsa finale. Domenica delle Palme, prima di apparire in piazza San Pietro, era andato a confessarsi. Il Venerdì santo aveva affidato alla Via Crucis le sue meditazioni. Il giorno di Pasqua – dopo la benedizione urbi et orbi impartita con voce strozzata – ha voluto che il giro in papamobile intorno alla piazza si prolungasse per un pezzo di via della Conciliazione, quasi a rappresentare, per il suo corpo irrigidito in cerca di aria, un ultimo viaggio incontro al mondo.

Il testamento spirituale del pontificato di Francesco sta tutto nelle parole composte per la Via Crucis. L’attenzione per gli ultimi, i “senza voce” e gli invisibili, gli scartati. La condanna di un’economia disumana che diventa un cantiere d’inferno, sospinta da logiche fredde e interessi implacabili. L’appello al senso di responsabilità del cristiano, che non si volta dall’altra parte ignorando quanti sono caduti. L’attenzione per ogni sorella e fratello, che sono “esposti a giudizi e pregiudizi”. Il monito a non cercare scuse per scansare la responsabilità per chi soffre. La convinzione che la Chiesa è chiamata diffondere il messaggio di Cristo, che salva tutti tutti tutti. Il monito che viviamo in un mondo dove la convivenza è ferita, un “mondo a pezzi” che ha bisogno di lacrime sincere per risollevarsi, perché – come Bergoglio disse profeticamente mentre imperversava la peste del Covid – o si è tutti fratelli o tutto crolla.

Nel suo testamento del giorno del Calvario Jorge Mario Bergoglio non ha dimenticato la Chiesa. Con lucida consapevolezza ha riconosciuto che la “Chiesa oggi appare come una veste lacerata”, bisognosa che venga ritessuta la fraternità tra i suoi membri. Perché i “discepoli (sono) divisi”. Da qui l’ultimo grido del pontefice, che al Gemelli aveva già per due volte visto in faccia la morte: “Dona alla tua Chiesa pace e unità”.

D’altronde Gesù, Jehoshua, non vuole forse dire in ebraico “Dio salva”? Un Dio che si è lasciato crocifiggere, il cui legno del disonore e della disperazione (così consideravano la croce i Romani) interpella credenti e non credenti.

Pochi si sono accorti, nella lenta processione del venerdì all’ombra del Colosseo, che Francesco attraverso un gioco di citazioni di Francesco d’Assisi e dell’apostolo Paolo, ha riconsegnato ai fedeli le sue tre encicliche: Fratelli tutti, Laudato si’, Dilexit nos (“Dio ci ha amati”). Karol Wojtyla, all’approssimarsi della fine, citava – con senso della storia e un’autocoscienza imperiale – il poeta latino Orazio: “Non omnis moriar, Non morirò del tutto… gran parte di me sfuggirà all’oblio della morte”.

Jorge Mario Bergoglio, il papa “vicino alla gente” come lo hanno ricordato parecchi fedeli ai bordi di piazza San Pietro il giorno della sua morte, preferiva una metafora più umile e quotidiana: “Siamo anziani che vogliamo ancora sognare”.

Il testamento geopolitico del pontefice argentino, il suo ultimo sguardo alla scena internazionale, è racchiuso invece nel messaggio urbi et orbi che non ha potuto leggere personalmente il giorno di Pasqua per mancanza di voce. E’ necessario opporsi alla “volontà di morte” diffusa in tante parti del mondo. Non bisogna cedere alla logica della paura che porta a richiudersi. Con un monito preciso, che suona controcorrente nell’attuale stagione in cui risuona la retorica del riarmo: “Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo! L’esigenza che ogni popolo ha di provvedere alla propria difesa non può trasformarsi in una corsa generale al riarmo”.

Nelle ultime ore è già partito il lamento delle prefiche. Nell’antichità erano le donne che accompagnavano il feretro graffiandosi il viso e stracciandosi le vesti e levando alti lamenti. Nel clima di guerra civile, che ha caratterizzato gli ultimo dieci anni all’interno della compagine ecclesiale, agitata dall’aggressività degli ultra-conservatori armati di implacabili social media, le nuove prefiche graffiano la memoria di Bergoglio, trovando contraddizioni, errori, peccati, opere lasciate a metà.

E’ tutto giusto, nessun papa è un santino. Ma sembra miserevole il tentativo di non capire che Bergoglio nei suoi anni di regno ha preso sul serio il monito espresso dal cardinale Martini prima di morire, quando denunciava la polvere accumulatasi nelle strutture clericali: “La Chiesa – diceva il grande cardinale di Milano – è rimasta indietro di 200 anni”.

Francesco ha dato una scossa ad una Chiesa immobilizzata dai veti di un tradizionalismo ossessivo. E’ stato il primo a riconoscere diritto di cittadinanza nella Chiesa alle persone gay, il primo ad accogliere in Vaticano un transgender con il suo partner e il suo vescovo, il primo ad autorizzare la benedizione delle coppie omosessuali. Il primo a lasciare dibattere la questione del diaconato femminile, il primo a dare diritto di voto alle donne in un sinodo mondiale dopo 1700 anni di esclusione, il primo a nominare donne in posti apicali nella curia romana. Il primo a permettere che un sinodo di vescovi amazzonici potesse esprimersi liberamente a favore di un clero sposato.

Il primo ad allontanare due porporati dal collegio cardinalizio per abusi e relazioni inappropriate, il primo a fare processare cacciandoli dall’ordine clericale un arcivescovo ambasciatore vaticano e un cardinale (Mc Carrick). Ha allontanato molti vescovi per insabbiamenti, ha decretato che la documentazione su abusi presente negli archivi diocesani potesse essere messa a disposizione della giustizia civile.

Ha commesso errori? Sì. Ha fatto scelte individuali inspiegabili? Sì. I casi Zanchedda e Rupnik (abusatori non puniti) stanno lì a dimostrarlo. E’ singolare tuttavia che alzino il ditino quanti non dissero una parola quando Benedetto XVI graziò Marcial Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo e abusatore seriale (anche di suo figlio), evitandogli il processo e regalandogli una “vita ritirata”. O quanti tacquero quando monsignor Marcinkus buttò al vento centinaia di milioni di dollari vaticani (soldi delle donazioni a fin di bene) per sostenere il bancarottiere Roberto Calvi.

Francesco è stato un rompighiaccio che ha aperto nuove vie alla Chiesa e l’ha resa più umana, più vicina alle ansie e al bisogno di speranza degli esseri umani. Riconoscendo – primo papa in assoluto – che anche le diverse religioni fanno parte del disegno di Dio.
Molti negli ambienti clericali, in curia e nel mondo, si sono augurati per anni che Bergoglio morisse. Il momento è arrivato. Forse Francesco sarà ricordato come una meteora nella storia della Chiesa. Ma ha illuminato per dodici anni il mondo con un bagliore irripetibile.

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Il Fatto Quotidiano

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